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domenica, 22 Dicembre 2024
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Tante bare, una di fianco all’altra: il drammatico spettacolo del Palasport di Crotone

Molte bare piccole, persino una di un neonato di pochi mesi. Così si mostra il Palasport di Crotone a distanza di qualche giorno dal naufragio costato la vita a decine di migranti al largo delle coste calabresi

Tante bare, una di fianco all’altra. Molte bare piccole, persino una di un neonato di pochi mesi. Questo è lo spettacolo drammatico che mostra il palasport di Crotone a distanza di qualche giorno dal naufragio costato la vita a decine di migranti al largo delle coste calabresi.

Ad oggi tanti messaggi di cordoglio, tante scaramucce politiche dall’una e dall’altra parte ma ancora non si è fatto niente, né dal governo nazionale, tantomeno da quello europeo. Più si sale nella scala gerarchica istituzionale, più i morti perdono la loro umanità, il loro essere carne e sangue, e diventano numeri da gestire o sopportare. Non sono più singole persone con una vita, dei sogni, degli affetti da curare ma solo statistiche.

Tutto è cominciato dalla pandemia, dalle camionette che portavano via i cadaveri dei morti. Non eravamo più abituati a vedere così tante bare una dietro l’altra, per cui all’inizio tutto ciò è stato scioccante. All’inizio. Poi la TV ha continuato a ripetere il numero dei morti giorno per giorno, fino alla nausea, fino a che quel numero non rappresentava più persone che non c’erano più, che avevano lasciato i propri cari senza neanche poter essere salutati nemmeno con un funerale, ma ostacoli che impedivano la nostra vita, gente che metteva a repentaglio la nostra routine quotidiana.

Dopo la pandemia, la guerra Russia-Ucraina. Nuovo choc. Il COVID-19 stava rallentando, si pensava di riuscire a tornare ad una vita normale, quando i carri armati russi si son messi in marcia per Kiev. Anche a questo non eravamo più abituati. Alcuni dicono che la guerra in Europa non la si vedeva dagli anni 40, anche se bisognerebbe avere il coraggio di dirlo agli slavi, e così le prime pagine di tutti i giornali e tutti i servizi televisivi erano per la guerra, per richieste di aiuti umanitari, un coro unanime per fermare presto le ostilità e cercare un dialogo, un dialogo che avrebbe riportato la pace nel Vecchio Continente. Ma così non è stato, la guerra è continuata. Per un mese, poi due, poi tre ed ora è arrivata ad un anno.

E più passava il tempo, più non c’era più tempo per parlare della guerra, c’erano altre notizie più importanti. Così la guerra è diventata una specie di partita di calcio, qualcosa per cui fare il tifo per una o per l’altra squadra, come se non ci fossero centinaia di migliaia di vite in ballo. E così anche quei morti sono stati derubricati a fattori di disturbo.

E domenica la realtà ha scosso nuovamente le nostre coscienze sopite con un altro schiaffo, una tragedia in mare. Il rischio è quello di girare la testa dall’altra parte, di continuare a vivere come se non fosse successo niente o, peggio, di guardare l’altro come un fastidio.

Ed invece no, bisogna essere come quei pescatori che, appena hanno intravisto la barca in difficoltà in mare, hanno cercato in tutti i modi di salvare ciò che potevano coi loro pochi mezzi a disposizione.

Madre Teresa diceva: “Se vuoi la pace nel mondo, ama la tua famiglia”. È tempo che la famiglia non sia più quella condivisa tra quattro mura, ma ampliarla a tutto il genere umano, prima che sia troppo tardi.

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