“Negli ultimi anni la litoranea di levante, nello specifico la zona “Belvedere”, ha attirato l’attenzione delle autorità e dei media locali per fenomeni legati, purtroppo, all’inquinamento ambientale grazie alla segnalazione e alla denuncia fatta a novembre del 2021 dall’ambientalista Antonio Binetti che allertò la Guardia costiera, circa la questione relativa alla presenza di amianto nella zona” – la nota è a firma di Coalizione Civica per Barletta, nella persona di Michele Napoletano.
“Successivamente, grazie all’intervento della guardia costiera coordinata dalla procura di Trani, fu sequestrata l’intera area interessata dal fenomeno, circa 3.500 metri quadri con un cumulo di rifiuti stimato di circa 14.000 metri cubi.
Nei giorni scorsi il reparto subacquei della guardia costiera di San Benedetto del Tronto e i tecnici di ARPA Puglia hanno effettuato dei campionamenti in mare in prossimità del sito interessato per verificare l’eventuale presenza di sostanze tossiche e di amianto.
Dopo più di un anno dalle prime segnalazioni, l’erosione provocata dal mare sta favorendo il distaccamento delle pareti di terra miste a rifiuti e amianto che cadono, finendo in acqua e disperdendosi nell’ambiente.
Purtroppo, altre segnalazioni effettuate da cittadini, hanno evidenziato cumuli di amianto abbandonato anche in zona Ariscianne. Questo fenomeno aumenta il rischio di inquinamento ambientale soprattutto perché il sito di abbandono è parte di una zona naturale di notevole pregio per la biodiversità esistente e per questo va tutelata e valorizzata.
Le problematiche dell’area erano già note nel 1996 quando il dott. Caldara, in una pubblicazione dal titolo “Aspetti di geologia ambientale e di Morfologia costiera in alcuni tratti del litorale nord-Barese” evidenziava che il tratto di costa antistante la zona industriale, zona Belvedere appunto, risultava il più degradato dell’area di levante proprio perché già all’epoca erano stati accumulati materiali di risulta dalle più svariate provenienze, compreso il sedime di decantazione delle vasche della ormai ex cartiera.
Nella pubblicazione inoltre si legge: “La costa è però qui in erosione, per cui è caratterizzata da una falesia intagliata negli stessi detriti, con conseguente ridistribuzione dei materiali di questa discarica lungo la spiaggia sabbiosa di levante”.
Normalmente l’uomo tende a scansare tutte le sostanze che nel breve tempo possono provocare danni alla salute. Probabilmente si tende a sottovalutare la pericolosità dell’amianto perché fra l’inizio dell’esposizione e la comparsa delle principali malattie causate da questo materiale intercorre un lungo intervallo di tempo.
La maggior parte delle malattie correlate all’esposizione all’amianto riguardano principalmente l’apparato respiratorio in quanto, tra le altre, può favorire l’insorgenza di carcinoma polmonare e mesotelioma.
A questo punto un comune cittadino potrebbe pensare che basterebbe non avvicinarsi al luogo in cui è stato depositato questo materiale per non correre alcun rischio. Il problema più grande è proprio rappresentato dal fatto che il mare sta favorendo la dispersione in acqua di quantità non trascurabili di materiale pericoloso.
Le fibre di amianto, oltre a poter essere respirate se diffuse nell’aria, possono essere anche ingerite nel caso in cui vengano disperse in acqua e la speranza è che dalle analisi dei campionamenti effettuati in questi giorni non risultino valori anomali legati alla presenza di sostanze pericolose.
Le correnti marine, soprattutto in occasione di eventi meteorologici avversi, favoriscono la dispersione di questo materiale verso le spiagge limitrofe che l’estate sono frequentate da adulti ma soprattutto da bambini che involontariamente, magari incuriositi, potrebbero anche raccoglierlo e giocarci scambiando pezzi di amianto per normali ciottoli.
Sul sito è possibile rinvenire anche altri rifiuti tra cui scarti industriali, materiali di risulta di lavorazioni edili, basole di pietra di varia natura, rifiuti plastici e bottiglie di vetro riconducibili agli anni ’80 e ’90 per alcune etichette dell’epoca ancora leggibili.
Per questo motivo, oltre ai campionamenti del materiale già prelevato dal mare, sarebbe opportuno procedere anche con dei carotaggi da effettuare sul suolo, nella parte sopraelevata e distante dal mare, per comprendere la natura dei rifiuti interrati e l’eventuale pericolosità degli stessi considerando anche che in prossimità della zona interessata ci sono dei terreni coltivati.
Chi in passato ha permesso la nascita di una vera e propria discarica di rifiuti pericolosi per la salute umana in prossimità del mare ha agito innanzitutto non considerando gli effetti a lungo termine che questa avrebbe potuto avere sulla salute e poi contro gli interessi degli stessi cittadini che oggi ne stanno pagando gli errori e le conseguenze.
Qualche domanda a questo punto sorge spontanea, perché aspettare tanto tempo visto che già dagli anni ’90 si era a conoscenza della presenza di una discarica pericolosa? Perché aspettare che fosse un semplice cittadino a denunciare il fenomeno? Perché alcune questioni hanno una priorità maggiore e altre, tra cui l’ambiente, non vengono prese in considerazione o ci si muove sempre troppo tardi?
Più volte i nostri consiglieri comunali Carmine Doronzo e Michela Diviccaro hanno interrogato l’amministrazione cittadina sulle tematiche ambientali ma le risposte, spesso, sono state vaghe o inesistenti.
Il sindaco Cannito, a seguito del nuovo rimpasto di giunta, ha deciso di non assegnare a nessuno la delega all’ambiente e quindi queste domande oggi vanno rivolte soprattutto a lui, nella speranza che si possa incominciare a ragionare in modo diverso sui temi ambientali per iniziare a tutelare tutti i cittadini.
Oltre all’importanza ambientale, paesaggistica e naturalistica è significativo anche l’interesse archeologico dell’area in quanto sono stati ritrovati cocci di anfore e un’ancora risalente al neolitico.
Bisogna intervenire al più presto con una bonifica dell’intera zona sia per scongiurare il pericolo di caduta e dispersione in mare di altro materiale pericoloso sia per restituire ai cittadini una zona di Barletta che per troppo tempo gli è stata sottratta.
Questo creerebbe i presupposti per la nascita di una grande area naturale che potrebbe poi, tramite dei percorsi dedicati, essere collegata alla vicina zona naturale di Ariscianne, anch’essa di notevole interesse naturalistico e archeologico, favorendo la ricucitura delle due zone di Barletta e il recupero storico ambientale già avviato nel 2003 tramite un progetto nato dalla convenzione tra l’Università di Bari, il Comune di Barletta e la Soprintendenza Archeologica” – conclude Napoletano.