“… and I thank you, for bringing me here, for showing me home…” Viene alla mente questo verso di un brano dei Depeche Mode dopo aver visto il workshop di Michele Sinisi per il Castel dei Mondi di quest’anno.
Home, il titolo appunto, parte con diversi modi di intendere casa: in un video viene mostrato come nell’ideogramma cinese che sta a simboleggiare casa, c’è anche quella di maiale sotto, sinonimo di ricchezza; c’è la casa milanese, molto pratica e con pochi affacci verso l’esterno, al contrario invece della casa di Secondigliano, molto più grande, molto meno pratica, con stanze dove non si può entrare e cose che non si possono toccare; c’è la parte toccante della casa famiglia di Bari, con 9 bambini che non si vogliono fare uscire per paura dei giudizi della gente, e della storia dei genitori di uno di loro che sbucano all’improvviso a notte fonda; la casa di un’ amministratore delegato che sta per essere licenziato e che si dedica all’alcool perché dimenticata da tutti; la casa che brucia come metafora dell’Europa, la casa di Andria in via Barletta…
La casa non è altro che un modo per parlare delle differenze tra ciascuno di noi, del nostro modo di intendere la vita. Il workshop di Michele Sinisi è molto divertente, a volte commovente, riesce non solo ad intrattenere il pubblico ma anche coinvolgerlo direttamente nello spettacolo. Lui, Sinisi, seduto sui gradini della scala, guarda i suoi alunni cimentarsi nelle varie scene dello spettacolo come un allenatore guarda i suoi giocatori.
Partendo dalla casa, lo spettacolo tratta dei temi più disparati, tra le differenze Nord/Sud, alla pazzia scoppiata nelle famiglie durante il lockdown, alla casa Europa, prima piena di interconnessioni che sono andate via via aumentando per poi finire per poi strapparli tutti e farne diventare un fardello difficile da sopportare, il tutto molto godibile, merito della bravura di tutti gli attori, dai più piccoli ai più grandi di età.
C’è solo un modo però per non far diventare la casa un piccolo carcere: rompere la porta dei propri egoismi, come fa una delle sorelle della casa di Via Barletta, e soprattutto non cercare uno sguardo orizzontale, che mostra solo muri tra le persone, ma guardare in verticale, in posizione supina, ed immergersi nel cielo, che è lo spazio di tutti, lo spazio libero e uguale per tutti, senza barriere, dove poter evadere e considerare l’altro come membro di una grande famiglia.