Rettocolite ulcerosa (RCU) e malattia di Crohn sono malattie autoimmuni croniche a forte componente infiammatoria che, lasciate senza una terapia adeguata possono portare ad una serie di conseguenze importanti (stenosi intestinali, fistole, ecc). Per le forme più importanti, un’arma formidabile è rappresentata dai farmaci ‘biologicì, ai quali approda nel corso della vita il 40-50% di questi pazienti.
Finora non c’era modo di prevedere quali pazienti sono in grado di rispondere agli inibitori del TNF alfa e chi i ‘non responder’.
Uno studio coordinato dall’andriese dottor Loris Lopetuso, Gastroenterologo del team del professor Antonio Gasbarrini, direttore UOC Medicina Interna e Gastroenterologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e dal dottor Marcello Chieppa, Ricercatore presso l’Università del Salento, appena pubblicato sulla rivista scientifica Cellular Molecular Gastroenterology and Hepatology suggerisce un modo per individuare da subito i pazienti che hanno scarse possibilità di risposta agli inibitori del TNF alfa, per ‘dirottarlì dunque subito su un altro biologico.
“Utilizzando un approccio combinato tra analisi cliniche e modelli sperimentali – spiega Lopetuso – i risultati dello studio hanno individuato una sottopopolazione di non responder agli anti-TNF, caratterizzati da alti livelli di interleuchina 1 beta (IL-1ß), una proteina infiammatoria estremamente potente”.
“Nella seconda parte dello studio – prosegue – è stato utilizzato un modello animale (topo) di rettocolite ulcerosa TNF-indipendente; il gruppo di ricerca (che ha coinvolto centri di ricerca in Italia e negli USA), ha valutato la possibilità di bloccare la cascata infiammatoria dell’IL-1ß utilizzando un biologico anti-interleuchina-1 (Anakinra), documentando una buona risposta degli animali al trattamento (riduzione dello stato infiammatorio intestinale e dei livelli di cellule infiammatorie intestinali)”. Al momento l’anakinra non ha ancora l’indicazione al trattamento per l’IBD nell’uomo. Ma l’esperimento ha dimostrato che nelle forme di IBD caratterizzate da elevati livelli di IL-1 beta nel sangue, il farmaco funziona (almeno nel modello animale). “Abbiamo comunque già a disposizione – afferma Lopetuso – una serie di terapie biologiche alternative agli anti-TNF, quali gli anti-integrina, gli anti-JAK e gli anti IL 12/23. Questo studio è una proof of concept della possibilità di stratificare i pazienti con IBD in base al loro profilo infiammatorio”.
“Non tutte le forme infiammatorie – evidenzia – sono evidentemente sostenute dalle stesse vie infiammatorie e alcuni pazienti hanno un’IBD ‘indipendentè dal TNF-alfa. Saperlo prima di avviare un trattamento con anti-TNF alfa evita di perdere tempo terapeutico prezioso e risparmia al paziente (e ai budget della sanità) un farmaco inutile”.
In un’ottica di medicina di precisione sarebbe dunque utile individuare una serie di biomarcatori di risposta (o meno) al trattamento per indirizzare a colpo sicuro il paziente verso un biologico, piuttosto che un altro.