«Le famiglie italiane diventano sempre più povere, mentre la pressione fiscale su di loro continua a salire. Il risultato è una costante diminuzione della spesa corrente, peraltro drenata sempre più dalle grandi piattaforme online, con riflessi negativi per il comparto del commercio che finisce stritolato da una congiuntura negativa che la pandemia ha solo amplificato».
Così il Presidente dell’Ordine dei dottori Commercialisti ed Esperti contabili di Trani, Antonello Soldani, commentando i dati contenuti nel dossier dall’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane. Una fotografia impietosa che mette il dito in una situazione ormai evidente ad occhio nudo, ma che la Fondazione ha voluto approfondire con metodo scientifico, tracciando un bilancio del primo anno di pandemia e di dieci anni di crisi.
Nell’anno del Covid-19, nonostante i massicci aiuti statali, le famiglie povere sono aumentate di 333 mila unità colpendo in particolare i nuclei familiari con minori e quelli con stranieri. Mentre molte famiglie oltrepassavano la soglia di povertà non riuscendo a mantenere il livello dei consumi ritenuto essenziale dall’Istat, la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil. L’incremento è avvenuto a causa della rigidità del gettito delle imposte dirette, in particolare dell’Irpef, e dell’Imu rispetto al calo del Pil.
Dal 2011 il Pil è aumentato di 2,8 miliardi di euro, mentre la pressione fiscale delle famiglie è aumentata di 46 miliardi di euro: +2,8 punti di Pil rispetto a -1 punto di Pil di tutte le altre entrate fiscali.
Il 50% dell’incremento di pressione fiscale delle famiglie è imputabile all’Irpef e all’Imu. Dal 2011 il gettito erariale dell’Irpef è cresciuto di 11,7 miliardi di euro (+7,2%), quello dell’IMU è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120%.
L’Irpef, comprensiva delle addizionali locali, è aumentata di 17 miliardi di euro.
Nello stesso periodo, il gettito erariale dell’Iva si è incrementato di soli 1,2 miliardi di euro.
Dall’Osservatorio dei Commercialisti i dati mostrano come la lunga crisi economica e finanziaria degli ultimi anni abbia depresso fortemente i redditi familiari: dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore. Nello stesso periodo, il divario Nord-Sud è aumentato (+1,6%) arrivando a raggiungere i -478 euro al mese.
Nelle famiglie in cui prevale il reddito da lavoro autonomo la crisi ha colpito ancora più duramente: la perdita in termini reali è pari al 28,4%. Il divario Nord-Sud è forte anche nella spesa media mensile dei consumi delle famiglie anche se, in questo caso, il Covid-19 ha giocato all’inverso, colpendo maggiormente il Nord e riducendo, anche se solo leggermente, il divario.
Nel 2020, la spesa mensile media di una famiglia meridionale è pari al 75,2% rispetto ad una famiglia che vive al Nord: 1.898 contro 2.525 euro. Il calo dei consumi è certamente alla base dell’aumento della povertà.
«Questa analisi – afferma Antonello Soldani – mi porta a sottoscrivere in pieno quanto sostenuto dal nostro Presidente Nazionale Massimo Miani che ha sottolineato che le famiglie italiane hanno pagato e continuano a pagare un conto salatissimo a causa degli squilibri macroeconomici e di finanza pubblica del nostro Paese.
Ha ragione Miani quando afferma che l’Irpef, la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi di euro, pari all’11,6% del Pil. Basti pensare che nel 2011, alla vigilia dello shock fiscale causato dalla crisi del debito sovrano, era pari al 10,5% del Pil e che, addirittura, nel 1995, prima dell’introduzione delle addizionali locali, si fermava all’8,4%».
«Si fa sempre più impellente – conclude il Presidente Soldani – la necessità di una riforma fiscale che si deve far carico di questa problematica. Il peso dell’Irpef grava soprattutto sui redditi del ceto medio ed è aumentato a dismisura. La media europea del rapporto tra Irpef e Pil è del 9.6 per cento. E sarebbe giusto portarla anche in Italia su questi livelli. Cosa che imporrebbe una riduzione della pressione fiscale di circa 33 miliardi di euro. La palla passa ora nelle mani della politica e dei centri decisionali del governo».