18 marzo: Giornata Nazionale in memoria delle Vittime dell’epidemia di Covid-19. In questa data fortemente simbolica, l’Amministrazione comunale Bruno ha inaugurato e consegnato alla città il Parco della Memoria per le vittime del Covid-19.
L’emergenza sanitaria più importante della nostra epoca, che ha messo a dura prova tutto il sistema sanitario nazionale, oltre che la salute fisica e mentale dei cittadini; il quotidiano di persone e comunità è completamente cambiato, con pesanti ripercussioni sul loro impianto socio-economico e produttivo.
Una pandemia che ha stroncato vite di persone di qualsivoglia estrazione sociale e di qualsiasi età, colpendo in modo particolare la fascia di popolazione più adulta, depositaria di valori storici e culturali.
Andria ha pagato un prezzo altissimo, come tanti altri Paesi e nazioni del mondo. 306 le vittime del periodo pandemico. E questo Parco nasce proprio con questa volontà: non dimenticare chi abbiamo perso.
Il parco vuole essere uno spazio di comunità, dove gli alberi piantati ci richiamano alla vita ed evocano l’abbraccio che a tutte quelle vite stroncate è stato anche impedito a causa delle stringenti regole del lockdown e dell’intero periodo pandemico.
Il parco vuole essere un luogo dove realizzare iniziative culturali, didattiche e ricreative pensate per tutti, nel rispetto della memoria di chi non c’è più e con quello slancio alla vita che possa essere rinvigorito da ogni forma di coesione sociale.
E’ un segno tangibile di attenzione e sensibilità, per lenire anche il dolore di tante famiglie che non hanno potuto stringersi ai propri cari nei momenti più drammatici della loro esistenza terrena. Così come sarà il luogo in cui la vita che cresce suggellerà l’impegno profuso dai tantissimi uomini e donne del mondo sanitario, che con instancabile zelo si sono adoperati nella difficoltà più totale.
Un luogo di memoria, riconoscimento e vicinanza.
L’area verde viene oggi consegnata alla città, dopo la sottoscrizione del Patto di Collaborazione tra il Comune di Andria-Settore Ambiente ed il circolo cittadino di Legambiente “Thomas Sankara”, ed è uno degli obiettivi sociali legati alla presenza del gruppo Guccio Gucci che, dopo la sfilata a Castel del Monte, decise di finanziare alcuni interventi di responsabilità sociale, tra cui questo bosco urbano.
Si invita chi ancora non l’avesse fatto di comunicare le generalità del proprio famigliare deceduto causa Covid agli uffici comunali (con una mail a gabinetto@comune.andria.bt.it oppure contattando telefonicamente il numero 0883. 290312) per dare modo di compilare le targhe con i nomi di tutte le vittime che verranno apposte nel parco.
Si ricorda che per vittime Covid si intendono tutti coloro che sono deceduti appunto per Covid nel periodo che va dall’11 marzo 2020 al 5 aprile 2022. Tuttavia, se qualcuno dei famigliari delle vittime scomparse per la stessa causa ma successivamente a queste date voglia comunque ricordare il proprio congiunto, può farlo contattando gli uffici.
Di seguito il discorso pronunciato dal Sindaco Giovanna Bruno.
«Il 18 marzo del 2020, ad una settimana dalla pandemia conclamata, venivamo ripetutamente violentati dalle immagini cruente di file di bare che a Bergamo sfilavano in uscita dalla Città, verso cimiteri sconosciuti.
Le vittime del COVID non avevano più posto per essere seppellite in casa propria.
Come se non fosse già abbastanza spegnersi nella solitudine e nella lontananza dai propri affetti, come se non fosse già abbastanza non poter essere agghindati con i propri effetti prima della sepoltura, come se non fosse già abbastanza non poter ricevere una benedizione o un funerale, come se non fosse già abbastanza essere avvolti, nudi, in un sacco nero.
Come se non fosse già abbastanza non aver potuto toccare mani o vedere occhi di chi, impaurito e spaesato, doveva prendersi cura di loro nelle corsie o negli sgabuzzini degli ospedali.
Non c’era più posto per le vittime del COVID nei cimiteri.
Sfilavano le bare a Bergamo, quel 18 marzo, su camion militari.
I combattenti di una battaglia mai realmente combattuta, se non intimamente con sé stessi, venivano accompagnati fuori dalla città, chissà dove.
E a quella scena, che le televisioni a rete unificate trasmettevano in continuazione, si aggiungeva quella dei cadaveri ammassati, nelle stanze sconosciute di alcuni ospedali, in attesa dell’organizzazione della ignota sepoltura.
Questo è stato quel 18 marzo 2020.
E poi i giorni a venire, più o meno uguali.
Con i nostri cari che nel frattempo si ammalavano, si allontanavano da noi, già consci di quello che sarebbe stato il loro destino, per averlo brutalmente visto in quelle scene.
In nome di quella umanità violentata e negata, l’Italia ha istituito nel 2021 la giornata nazionale in ricordo delle vittime del COVID da celebrarsi proprio il 18 marzo.
Poi ci siamo noi, sopravvissuti.
Noi che avremmo dovuto imparare qualcosa da quel tempo.
Noi che facciamo fatica a recarci nei cimiteri a trovare i nostri cari, perché non sappiamo se ci sono davvero.
Ci hanno restituito delle bare sigillate, che non abbiamo nemmeno scelto noi in molti casi.
Noi che non sappiamo in quei sacchi neri se c’è davvero nostra madre o padre, o fratello o marito o figlio o nonno o amica.
Noi, con la nostra incredulità, con il nostro essere storditi.
Si può morire nel 2020 per una infezione polmonare? Si può?
Così è stato, in questo tempo in cui medici ed infermieri sono stati chiamati eroi, per non parlare dei volontari, delle forze dell’ordine o di tutti quegli sconosciuti che hanno provato a incidere in qualsiasi forma con una umanità sconosciuta in quel tempo sospeso in cui tutto era disumano, anche la nostra forzata reclusione quotidiana.
Questo è stato. Inutile edulcorare.
Questo il senso di questa giornata nazionale.
Ricordare.
Per provare a essere umani visto che non lo siamo stati, non abbiamo imparato quasi niente da quel tempo.
Questo luogo vuole essere un giardino di umanità. Null’altro.
Nella semplicità, vuole raccogliere intorno agli alberi, i nomi di chi ci è stato strappato.
Come a dire: le vostre radici sono al suolo, i vostri rami tendono al cielo, le vostre foglie sono per noi riparo, la vostra frescura sollievo.
Vogliamo imparare a curarvi, non avendolo potuto fare in quei momenti drammatici della vostra vita.
Vogliamo provare a parlarvi, a sussurrarvi quello che ci è stato impedito di fare in quel tempo.
Vogliamo provare a darvi un sorso d’acqua, negata durante la vostra stagione infetta.
Non potevamo.
Non abbiamo potuto nemmeno darvi un bacio quando vi portavano via da casa, per un ricovero di fortuna, dove capitava, dove c’era posto, dove abbiamo sperato che vi accudissero e che almeno vi facessero arrivare un soffio di umanità.
Ecco, per noi, qui, oggi, questo vuol essere solo un luogo di ritrovata umanità.
A voi.
Oggi e per sempre».