Il mondo del Big Tech non sta vivendo il suo momento migliore, fra licenziamenti in massa, debiti a nove zeri e investimenti non supportati dalla maggior parte degli azionisti. Di qui a dire che sia la fine dell’era dei social media è forse un po’ azzardato, anche se questo è l’autorevole parere che Ian Bogost ha esposto su The Atlantic.
Bagost analizza molto bene la trasformazione che ha riguardato tutti questi colossi nel corso degli anni, i quali sono nati come social network, il cui compito era quello di connettere gli utenti e permettere di riavvicinare i contatti persi, per poi mutare in social media, ovvero in piattaforme iperattive di diffusione di materiale informativo (e disinformativo).
Una metamorfosi più o meno coincisa con l’uscita di Instagram e con la diffusione degli smartphone, attraverso la quale è stato pian piano abbandonato lo scopo primario della connessione, in favore di pubblicazioni mirate a raggiungere il maggior numero di utenti possibili, ben oltre i propri contatti.
La rete in precedenza utilizzata per stabilire e mantenere relazioni è divenuta un canale tramite il quale condividere notizie e trasmettere materiale di vario genere.
Sono lontani i tempi in cui, aprendo Facebook, si trovavano online tutti i propri amici e si vedevano le pubblicazioni relative alla loro vita quotidiana e a come essa evolveva, anziché teorie cospirazioniste condivise e ricondivise, di bacheca in bacheca.
Un cambiamento che ha incrementato i profitti delle aziende Big Tech e che ha aperto un mondo al settore del marketing, creando la influencer economy e convalidando il passaggio a social media. Un luogo in cui ogni singolo utente è un prezioso anello non di una community, bensì di una catena di distribuzione di messaggi promozionali e di marketing, che venga o meno retribuito dal brand sponsorizzato di turno.
E, di conseguenza, per ritrovare quei momenti di condivisione e socialità, gli utenti sono migrati altrove, mantenendo i social media come fonte di approvvigionamento di notizie e scrolling pseudoinformativo.
Al momento, le realtà più vicine ai social network di un tempo sono le community di gaming, sviluppatesi enormemente nel biennio pandemico e tuttora in auge. Qui i giocatori non vanno solo a ricercare svago attraverso il gioco online, ma una vera e propria interazione sociale, trasversale a tutte le categorie – dagli sparatutto, ai giochi di strategia, ai casinò online.
Proprio le piattaforme di gioco a distanza, sfruttando questa tendenza, si stanno specializzando in un’offerta interattiva ed immersiva che permette di rimanere in contatto con gli altri utenti. Lo fanno mediante chat istantanee disponibili in diverse sezioni, ma anche attraverso l’arricchimento dei palinsesti con i live games, che non consentono solo l’interazione con un croupier in carne ed ossa, ma anche con gli altri partecipanti al tavolo. Una trovata che si sta rivelando vincente e che, a braccetto con le formule di promozione esclusive del canale online legate ai test di alcuni dei prodotti ospitati dalle piattaforme, sta decretando il successo del gioco a distanza.
Forse, quindi, il futuro dei social media è davvero segnato – come profetizza Bogost – ma intanto gli utenti si dimostrano già pronti a colonizzare altri lidi, in nome della socialità e della condivisione.