Oggi si celebra la Giornata Internazionale delle Aree Umide (World Wetlands Day, WWD), la data non è casuale in quanto ricorda il giorno dell’istituzione della Convenzione che mira a tutelare i siti umidi di importanza internazionale, siglata proprio il 2 febbraio del lontano 1971 a Ramsar (Iran).
Ma perché questi ambienti così unici e affascinanti sono così importanti e necessitano di assoluta tutela? La ragione è presto detta: le aree umide sono straordinariamente ricche di biodiversità a vari livelli (specie, comunità , habitat), tanto da essere spesso dei veri hotspot di biodiversità . Si pensi alla presenza di specie di flora e di fauna estremamente rare intimamente legate alle aree umide.
A livello faunistico, è evidente il ruolo insostituibile svolto dalle aree umide per numerose specie ornitiche (spesso di grande interesse per la conservazione), che qui trovano ambienti ideali per la riproduzione, o per la sosta durante il transito migratorio – per approfondimenti sulle migrazioni degli uccelli vedi articoli già pubblicati su questa testata -. E non è un caso purtroppo, se gli anfibi risultino uno dei gruppi faunistici più gravemente minacciati a livello globale, in quanto il loro declino è in gran parte una diretta conseguenza della grave riduzione delle aree umide fondamentali per la loro sopravvivenza.
Analoghe considerazioni valgono, focalizzando invece l’attenzione sulla vegetazione spontanea, per due specie d’interesse forestale quali la farnia (Quercus robur) e il frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa), scomparse da tantissime aree del nostro territorio nazionale a causa della distruzione delle foreste planiziali.
E la valenza di questi ambienti non si limita a questo. L’estrema diversificazione ambientale propria delle aree umide, con la presenza di numerose nicchie ecologiche a loro associate, si traduce nella molteplicità di servizi ecosistemici che esse sono in grado di fornire. Va ancora evidenziato il loro valore strategico per la mitigazione del cambiamento climatico, dovuto all’intrinseca grandissima capacità delle aree umide di immagazzinare il carbonio atmosferico.
Per quanto esposto è facile comprendere l’esigenza di proteggere rigorosamente tali siti, e finalmente di attuare un un deciso cambio di rotta (non più procrastinabile!) rispetto a quanto purtroppo si registra attualmente. Infatti, nonostante la loro incomparabile bellezza e descritta utilità , le aree umide decrescono ad un tasso addirittura 3 volte superiore a quello che affligge le foreste, al punto che in pochi decenni (dal 1970 al 2015) è andato irrimediabilmente perduto il 35% del totale delle wetlands presenti a livello mondiale.
Il territorio della BAT conserva uno dei più importanti siti umidi a livello nazionale, e dal 1979 le celebri Saline di Margherita di Savoia sono annoverate tra le aree protette dalla Convenzione di Ramsar (con codice IT026), nella fattispecie interessando complessivamente ben 3871 ettari.
Come esposto, il preoccupante status delle aree umide e la loro stupefacente funzionalità ecologica, impone però una grande attenzione a tutti i siti, anche a quelli minori. Anzi, soprattutto a questi, da ritenersi assolutamente i più minacciati. Occorre a tal proposito sottolineare una delle meraviglie legate ai siti umidi: mentre gli ecosistemi forestali per svolgere al meglio le funzioni ecosistemiche che ad essi competono hanno bisogno di raggiungere una certa estensione, le aree umide possono iniziare a strabiliare già con superfici davvero contenute (si pensi ad esempio agli stagni temporanei a cui possono associarsi specie di flora di assoluto rilievo conservazionistico).
Tornando allora al nostro territorio, tra le aree umide minori, ma per quanto appena detto ugualmente importantissime e meritevoli di conservazione e valorizzazione, sicuramente si ricorda il sito Ariscianne-Boccadoro lungo il litorale tra Trani e Barletta. Tali siti minori, oltre alla conservazione che rimane l’obiettivo principale da raggiungere, necessiterebbero anche di interventi volti alla loro riqualificazione (creazione di fasce tampone, rinaturalizzazione delle sponde, azioni di ripristino vegetazionale, ecc.), che potrebbero nel breve periodo rivelare quanto poco fa asserito, e cioè come piccole superfici possano trasformarsi in veri catalizzatori della biodiversità .
I tempi sono maturi per agire in tal senso, e anzi impongono tale cambiamento. Il decennio del Restauro Ecosistemico in cui siamo (2021-2030), voluto dall’ONU, è lì a ricordarci che per invertire la preoccupante attuale condizione in cui versa l’ambiente naturale, non basterà smettere di distruggere la natura ma anche accelerarne i processi di ripristino. Anche l’hashtag scelto quest’anno (#ActForWetlands) per far girare in rete gli eventi legati al WWD, vuole sottolineare l’esigenza di innescare diffuse azioni di ripristino di questi ecosistemi di inestimabile valore.
A cura di Rocco Carella, Dott. forestale, dottore di ricerca in Studio e Progettazione del Paesaggio, consulenza ambientale-forestale, autore.