Si è svolta stamane, con successo, la commemorazione del Giorno del Ricordo, promossa dall’associazione Puntoit e dal Comitato 10 Febbraio, col patrocinio gratuito del Comune di Andria. Una manifestazione diversa nella forma e ristretta nel numero di partecipanti, in pieno rispetto delle norme anti-covid, ma con sentita e commossa partecipazione.
Presente anche l’amministrazione comunale, nelle figure del sindaco Avv. Giovanna Bruno e dell’ass. Daniela Di Bari: «Esprimiamo profonda gratitudine nei confronti del Sindaco Giovanna Bruno, non solo per aver presieduto la cerimonia, ma per aver confermato la volontà dell’amministrazione comunale di concedere alle nostre associazioni la custodia del cippo monumentale – commenta Benedetto Inchingolo, presidente dell’Ass. Punto It e referente cittadino del Comitato 10 Febbraio -.
Siamo felici di impegnarci nella sua salvaguardia, al fine di tramandare alle future generazioni la memoria degli eccidi e delle persecuzioni dei nostri compatrioti nel secondo dopoguerra. Una pagina di storia per molto tempo rimasta nell’oblio. A noi e alla cittadinanza tutta il compito di alimentare la fiamma del ricordo».
Il Sindaco Bruno ha voluto esprimere un pensiero sulla Giornata dedicata alle Vittime delle Foibe:
“Cari amici, qualche volta il ricordo del tempo passato può tingersi del colore della retorica. Oggi, invece, ha un sapore amaro, una tinta forte o, meglio, ha il dolore di una piaga che brucia, poiché per troppo tempo questo flusso è stato ostruito da un dibattito controverso, in cui ci si poneva, pur sempre da Italiani, l’un contro l’altro armato.
Le foibe sono il buco in cui è stata seppellita una parte della nostra storia contemporanea. E da quelle stesse cavità carsiche, molto simili alla natura delle nostre terre di Murgia, sono affiorati frammenti di storie semplici, quotidiane, narrate da famiglie di Fiume, Pola e altre località dalmate, arrivate profughe anche nella terra di Puglia, nella vicina Bari, dove non è difficile trovare cognomi istriani.
Famiglie logorate da un viaggio in cui si consumava un dramma simile a quello iniziato solo alcuni anni prima in Europa: lasciare casa, affetti e brandelli di vita per cercare di dimenticare e ricostruire un viaggio, da Italiani.
Questa storia ci fa riflettere sull’assurdità della Guerra, ma ancor di più sulla follia della discriminazione di uomo contro uomo. Contro persone che avrebbero vissuto una vita in pace, sulle sponde di una terra confinante a Trieste, costrette a lasciare tutto e fuggire. Come alternativa, la morte.
Il ricordo è funzione attiva della memoria: sono legate strettamente, nel delicato e istintivo processo dell’elaborazione mentale. L’uomo ha memoria di ciò che VUOLE ricordare. Nella matta bestialità del II conflitto bellico mondiale, che tanto assomiglia a ciò che in questi tempi si va consumando in Medioriente, i narratori più illuminati hanno rivelato le tracce di un germe antico che non ci ha mai abbandonato: l’odio verso chi è diverso.
Domenica scorsa, Papa Francesco ha riacceso il suo sogno: vedere il termine della guerra in Siria, il paradigma contemporaneo di tutti gli odii mai sopiti. Odii che hanno travolto l’incedere della nostra convivenza civile. Che hanno assurdamente contrapposto, nella giusta causa della Resistenza, i partigiani della Brigata Garibaldi a quelli della Brigata Osoppo. Odii che hanno legato le mani con il filo di ferro a decine di inermi civili, di seguito lanciati nelle voragini della terra, perché diversi, in una sorta di contrappasso animalesco che prevedeva la punizione e l’umiliazione dello sconfitto nemico.
Oggi, cari amici, il dramma è un film recente, in una Terra che non ha ancora scoperto il valore della PACIFICAZIONE nazionale. Un risvolto che riscopriamo, con dolore, ogniqualvolta ci troviamo divisi da steccati ideologici, da interessi o da semplici obblighi democratici, come ad esempio possono essere le elezioni. Il mio, mi permetto di dire, è il sogno di Francesco: che la Guerra finisca, ma che non sia solo la guerra combattuta con le armi convenzionali.
Il dramma del Covid 19, infatti, ha molto da insegnare agli uomini distratti dalla contemporaneità. Che basta poco per abbandonare l’esistenza umana e che, in fondo, conviene riscoprire il bene di essere impegnati in un cammino lungo un tratto di esistenza nella storia. Cerchiamo, perciò, di ricordare, contro ogni residuo negazionista questo, oggi, sarà il migliore tributo verso quei martiri a cui fu sottratta la gioia della nostra convivenza democratica, frutto del sangue versato dagli italiani, che oggi ricordiamo avversari e non più come nemici.
Il Saluto dell’Assessore alla Cultura, Daniela Di Bari:
“Ho atteso questo dieci febbraio nella trepidazione della notte insonne, fuori il vento ha fischiato sinistro, un lampione tremava e gettava la sua povera luce fredda nella mia finestra vuota; poi con la grande valigia ho camminato sulle strade della mia città quando il cielo era ancora buio, gli alberi dei Giardini erano scossi dal vento.
Lungo il Corso stretto mi seguiva il vento, che veniva gelido dal mare, molti negozi erano senza vetrine, strappati anche i vetri e le saracinesche, come volti senza occhi, i portoni dei palazzi erano aperti, le imposte lasciate libere si aprivano e si chiudevano nelle case abbandonate, come tombe scoperchiate.
Un vecchio, prima di salire sulla nave, si inchinò fino a terra e la baciò, poi si mise sulla poppa e io vidi la sua schiena che sussultava in un tremito convulso. Guardai ancora una volta la splendida banchina della mia riva, l’Arena e il palazzo dell’Ammiragliato, il ponte di Scoglio Olivi, le piccole case sulla mia collina, e scesi sotto coperta a fissare intontito la mia valigia”.
Tratto da “Dentro l’Istria. Diario 1945-1947” di GUIDO MIGLIA,giornalista e insegnante a Trieste, nato nel 1919, originario di Pola e profugo nel 1947.