Questa seconda ondata di Covid ha cambiato il nostro modo di vivere di cittadini ancora una volta, ci ha costretti ad attenerci a regole di comportamento più rigide e soprattutto a sacrifici umani oltre che professionali: la perdita del lavoro, la chiusura di una attività commerciale, la scomparsa di parenti e amici che si sono ammalati.
Nella speranza di comprendere cosa ne sia dei pazienti Covid ricoverati, perché gravi, in terapia intensiva senza la possibilità di comunicare e rapportarsi con l’esterno.
Vorremmo sapere cosa gli accade nel caso in cui non ce la facciano, muoiano, il perché di loro non si sa più nulla. Magari non potremmo ricostruire ogni singolo ultimo istante di vita ma perlomeno provare a spiegare, con l’aiuto di chi in certi ospedali e reparti lavora, il dove e il come rivederli per l’ultima volta.
Un documento pubblico redatto dall’istituto Nazionale per le malattie infettive “Spallanzani”, detta le istruzioni sulla gestione delle salme di pazienti con sospetta e accertata infezione respiratoria da Coronavirus Covid-19: detta procedura si basa sulle linee guida provvisorie tramesse dalla WHO (World Health Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità).
La procedura prevede che l’infermiere di turno nel reparto dove è avvenuto il decesso, nell’attesa dell’arrivo degli operatori funebri, deve curare la predisposizione della salma avvolgendola in un lenzuolo e cospargendo il tessuto di soluzione allo 0,5% di Ipoclorito di Sodio (candeggina). Sulla salma viene messo un apposito cartellino di identificazione e la corrispondenza dei dati anagrafici, poi posta nel sacco. Il sacco chiuso a sua volta, con un altro cartellino identificativo, spruzzato o igienizzato con Ipoclorito di Sodio.
Leggiamo quanto segue: L’agenzia funebre, delegata dalla famiglia può posizionare la salma nel feretro, manipolando in sicurezza (anche se dotati ovviamente di guanti in lattice) il sacco esterno che ovviamente non è contaminato. NON SONO AUTORIZZATE PROCEDURE DI VESTIZIONE
Per motivi di ordine Pubblico e per la salvaguardia della Salute Pubblica la salma non è esposta in cappella funebre (così come per altre salme) per evitare affollamenti.
Abbiamo così parlato con una infermiera di rianimazione che lavora in uno degli ospedali della BAT ora convertiti per fronteggiare l’emergenza Covid. Preferisce rimanere anonima e la chiameremo Sofia. Le abbiamo rivolto delle domande.
Come mai hai voluto rilasciare questa intervista?
Vi ringrazio per l’opportunità. Quando fai il mio lavoro, infermiera o medico, hai spesso a che fare con il dolore altrui. Questo è il periodo più brutto della mia vita, la seconda ondata ci ha umanamente e moralmente feriti tutti. Ogni giorno a fine turno non vedo l’ora di tornare dalla mia famiglia ma al tempo stesso ho paura di poterli contagiare a mia insaputa, nonostante i ripetuti tamponi cui ci sottoponiamo. Questa paura non mi fa godere appieno di tutto l’orgoglio che mi dà essere una sanitaria, poter contribuire nel mio piccolo al bene collettivo. Indossare i dispositivi anticovid, la tuta, il casco e altro, pesa: toglie il respiro, ti isola a volte ma protegge. Siamo una grande famiglia, ogni reparto di ospedale è una famiglia. E ho riscoperto quanto faccia bene pregare, non è un semplice gesto, è riscoprire il bene dentro sé e gli altri, togliersi le incrostazioni di una vita sempre frettolosa e poco attenta. Vorrei in punta di piedi, senza urlare, poter chiedere a tutti di indossare la mascherina e stare attenti, pensare che la il Covid-19 non rispetta i buoni e non ha paura dei cattivi, non si ferma davanti un bambino o a un anziano.
Perché un paziente Covid ha biasogno della terapia intensiva?
Quando qualcuno risulta positivo al Covid dopo aver fatto il tampone, viene messo in isolamento domiciliare. Se non si hanno sintomi, la prassi è quella di restare in quarantena sino alla negativizzazione del tampone che solitamente viene ripetuto più volte. Se invece presenta sintomi dai più lievi come febbricola o tosse secca, alla perdita di gusto e olfatto, la terapia dovrebbe essere iniziata tempestivamente. È il medico di base a decidere quali farmaci assumere e come.
Il problema attuale riguardo la prescrizione dei farmaci è che i medici di base non riescono a gestire la mole di richieste di aiuto. Tale inadempienza, non voluta, porta a un tale livello di gravità che diventa necessaria l’ospedalizzazione, comportando il congestionarsi delle strutture ospedaliere, soprattutto dei Pronto soccorsi. A casa occorrerebbe per gestire la lieve insufficienza respiratoria, l’ossigeno terapia domiciliare tramite maschera o naselli. Le bombole in farmacia scarseggiano. Se la polmonite, conseguenza del Covid, non ha compromesso gran parte della funzionalità polmonare, avviene il ricovero in un reparto Covid con ventilazione non invasiva (NIV o casco), scongiurando la terapia intensiva. Ultimo stadio, in terapia intensiva il paziente è intubato dopo una sedazione profonda.
Cosa avviene in terapia intensiva?
Se le condizioni migliorano, l’anestesista della terapia intensiva dispone un progressivo risveglio del paziente, ancora intubato, per verificare l’andamento delle capacità respiratorie. Anche se in grado di respirare autonomamente, sarebbe comunque aiutato dal ventilatore a trasportare la giusta quantità d’aria nei polmoni perché lavorino correttamente.
Com’è la situazione nella terapia intensiva?
I decessi ci sono, questa seconda ondata fa paura più della prima. Nei reparti convertiti e attrezzati per il Covid, non facciamo a tempo a sanificare l’unità letto di un paziente deceduto per Covid che un nuovo paziente prende il suo posto per le necessarie cure: restano pochi posti letto. A Barletta, nel parcheggio, l’Esercito ha composto 40 posti letto in tende che serviranno per i tamponi e terapia respiratoria e aspettiamo tutti che questo ospedale da campo diventi operativo.
Per i pazienti che sono isolati…
Per i malati gravi di Covid non è possibile la vicinanza di parenti, né abbracci, né sguardi, né parole di conforto a parte ciò che umanamente noi sanitari riusciamo a fare: gli stiamo vicini come meglio possiamo, siamo anche noi coscienti della drammatica situazione. Non siamo eroi ma madri, padri, sorelle e fratelli, figli.
Puoi parlarci, ricordarci qualche episodio?
Si tratta di episodi non eclatanti o grandi, solo di manifestazioni di affetto e calore umano. Mi hanno raccontato che alle 5 del mattino ha chiamato in rianimazione il marito di una paziente Covid perché non riusciva a dormire, volevo sapere come stesse sua moglie: intubata e non bene. E ancora che un altro paziente prima di essere sedato in anestesia generale, è necessario prima dell’intubazione, si è fatto promettere dai sanitari presenti che glielo avrebbero tolto prima o poi il tubo in gola. È purtroppo morto e il suo desiderio non si è avverato.
In che cosa consiste l’intubazione?
La procedura implica appunto l’inserimento di un tubo in gola perché possa convogliare l’aria nei polmoni, espanderli e contrarre artificialmente grazie al ventilatore cui è collegato. L’anestesia serve sia per facilitare l’inserimento del tubo sia a evitare che i pazienti ancora coscienti cerchino involontariamente di contrastare la respirazione indotta dal ventilatore.
Se dovesse morire un paziente cosa gli accadrebbe?
Noi sanitari ci auriamo non accada mai. Un morto di Covid, mi vengono le lacrime agli occhi e il magone, viene avvolto in un lenzuolo cosparso di candeggina e poi chiuso in un sacco nero.
Dopo affidato a chi lo sistemerà nel feretro che non potrà essere aperto o esposto. I parenti non avrebbero nessuna possibilità di rivederlo così come lo ricordano.
Se il paziente morisse per altre cause che non sia il Covid?
Normalmente se ci trovassimo dinanzi ad un morto non per Covid, la prassi sarebbe diversa, la salma sarebbe ripulita, ricomposta, tolti tutti i Device utilizzati per il sostegno delle funzioni vitali, messa su di una barella, poi portata nella camera mortuaria dell’ospedale. I parenti potrebbero rivederlo e salutarlo nelle modalità previste.
Grazie e ti ringraziamo per la tua disponibilità.
Intervista di Damiano Landriccia