Imbracati costantemente con tute protettive e con dispositivi di protezione che lasciano il segno non solo sulla pelle ma nell’anima, spesso immortalati mentre vivono momenti di riposo tra un turno e l’altro in attesa di ospedalizzare pazienti e costretti a riposare su panchine o scrivanie.
Negli ultimi mesi queste istantanee sono state la prova tangibile del lavoro di chi lotta in prima linea contro il Covid-19.
“La costante rappresentazione della frustrazione, stanchezza e depressione che vivono gli operatori del mondo sanitario è un segnale d’allarme da non sottovalutare”.
Con queste parole il presidente dell’Ordine degli Psicologi di Puglia Vincenzo Gesualdo pone l’attenzione sullo stress psicofisico a cui è sottoposto il personale sanitario nella lotta al Coronavirus.
“La crisi sanitaria che stiamo vivendo ha inciso pesantemente sul volume e sulla qualità del lavoro, sulla stanchezza fisica e sulla salute psicologica di infermieri, medici, OSS e di tutto il personale sanitario, aumentando così l’esposizione al fenomeno del burnout” – continua Gesualdo. “Comprendere l’impatto del Covid-19 sulla sfera psicologica, affettiva, emotiva, relazionale e cognitiva dei lavoratori è fondamentale per avviare un percorso di prevenzione, cura e riabilitazione”.
L’atteggiamento empatico dei professionisti sanitari raffigura un’importante condizione che produce un effetto positivo sulla compliance e sulla qualità di vita dei pazienti. L’empatia può declinarsi però anche sul versante del contagio emotivo procurando effetti devastanti sotto il profilo della salute psicofisica degli operatori.
Ritmi frenetici spingono gli operatori sanitari all’elevato rischio di cadere nel vortice dell’esaurimento da lavoro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto lo status di sindrome, con sintomi ben definiti quali la sensazione di esaurimento, sia mentale che fisico, il distacco mentale dal proprio lavoro, spesso accompagnato da negatività o cinismo relativi ad esso e, in alcuni casi, una conseguente riduzione della propria produttività.
“Orari e turni di lavoro massacranti, spesso legati alla corsa contro il tempo, la responsabilità connessa alla gestione della vita e della morte, addirittura la possibilità di essere messi di fronte alla necessità di decidere chi curare e chi no, mettono a dura prova la salute psicofisica delle unità di lavoro che affrontano questo terribile fenomeno” – conclude Gesualdo.