Ad uno sguardo poco attento potrebbe sembrare che la politica barlettana e le vicende che riguardano le problematiche del territorio siano caratterizzate da un costante e inesorabile immobilismo.
Ma non è così perché gli eventi che si susseguono hanno la capacità di creare nuovi scenari e ribaltare sorti che sembravano, fino a poco tempo fa, ormai segnate.
Scenari che non raffigurano un quadro in fase di evoluzione bensì un processo di regressione capace di riportaci al punto di partenza.
Ci riferiamo alla vicenda che riguarda la Timac,con la relativa messa in sicurezza della falda e del suolo che si intreccia inesorabilmente con un’altra questione “irrisolta” riguardante il permesso di costruire adiacente lo stabilimento e la realizzazione di un piezometro.
Tutte questioni strettamente collegate tra loro ma che hanno sviluppi differenti capaci anche in poco tempo di far passare gli accusati in accusatori.
Due episodi secondo noi sono emblematici per comprendere cosa ci aspetta nel prossimo futuro sul versante delle criticità ambientali.
La prima riguarda la mancata partecipazione del Comune di Barletta alla conferenza di servizi dello scorso 22 marzo,con la questione del piezometro POC01 che doveva essere realizzato sul terreno dove è stato rilasciato il permesso di costruire.
In poche parole a qualcuno poco interessa se c’è o non c’è inquinamento (cosa peraltro già riscontrata in altri punti),l’importante che a Barletta si continui a costruire.
L’altro episodio riguarda la conferenza stampa tenuta pochi giorni fa dai vertici della Timac.
I responsabili della multinazionale dopo il dissequestro dello stabilimento da parte della magistratura hanno informato la città sul fatto che non c’è da parte loro nessun inquinamento in atmosfera e che per quanto riguarda la falda e il suolo la presenza di agenti inquinanti non è ascrivibile al loro operato.
Ci chiediamo, dunque, come mai il Consiglio di Stato lo scorso dicembre ha messo in evidenza il fatto che dal 2011 per la produzione di fertilizzanti sono stati usati acido solforico e solfati (già usati fino al 1982 all’interno dello stabilimento da altri proprietari) e che solo questi elementi offrono indizi precisi in ordine alle responsabilità della Timac, per quanto riguarda l’inquinamento della falda e del suolo.
Inoltre il primo giudice afferma che la tesi di una fonte esterna, alla quale la contaminazione sarebbe riconducibile in via esclusiva, è rimasta una mera ipotesi che non ha trovato riscontro concreto.
Crediamo sia chiaro a tutti dove sta la verità ma la cosa più inquietante della conferenza stampa è che Timac minaccia di querelare chiunque da oggi in poi accosterà l’azienda alla questione inquinamento.
Una multinazionale che dai nostri territori ha per anni tratto lauti profitti, oggi usa il suo potere economico per zittirne l’intera comunità. Su questo grave attacco al legittimo diritto di chiedere chiarezza e sull’intimidazione nei confronti di chiunque si trovi in intralci la fame di profitti dell’azienda la classe politica tace.
A partire dal Primo Cittadino, il sindaco Cannito, che solo pochi mesi fa correva al capezzale dell’azienda e si adoperava per farle riottenere la facoltà d’uso degli impianti.
Un film già visto, quello in cui le istituzioni anziché garantire il benessere dei cittadini si mostrano accondiscendenti ai capricci del potere economico.
Ma non sarà facile imbavagliare tante e tanti cittadini che pretendono chiarimenti sullo stato di salute ambientale della città e si sforzano di mettere in luce le contraddizioni emerse in questi anni, anche a rischio di trovarsi soli a scontrarsi con un colosso industriale.
Emma Cafiero_Collettivo Exit
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