Grazie alla collaborazione con l’Università di Bari nuovi studi fanno luce sulle problematiche legate all’impatto di questi rettili marini con gli attrezzi da pesca. In Italia la pesca accidentale colpisce più di 20.000 esemplari all’anno.
Un 2016 all’insegna del superlavoro per il Centro Recupero Tartarughe Marine WWF di Molfetta: proprio in queste ore infatti è arrivata la tartaruga n. 100 dall’inizio dell’anno: si tratta di“Eritrea” recuperata a strascico dal motopeschereccio “Nuova Giovanna” della marineria di Bisceglie. L’85% degli animali sono già stati rilasciati in mare. Si allarga sempre più infatti il numero dei pescherecci “turtle friendly” che collaborano con il Centro: sono oggi 12, in maggioranza di Bisceglie ma anche di Molfetta e Monopoli.
“Si tratta di numeri da record – sottolinea la Presidente del WWF Italia, Donatella Bianchi – che confermano l’importanza della collaborazione con le marinerie e i pescatori, ma anche il buon funzionamento della rete di soccorso a terra. L’esperienza di Molfetta, e del lavoro decennale del nostro centro di eccellenza è un esempio straordinario di sinergia tra istituzioni, operatori della pesca, della ricerca e del soccorso. Ma il nostro grazie va soprattutto ai pescatori che rendono possibile questo risultato. Solo pochi anni fa catturare una tartaruga marina era sinonimo di cattiva pesca, oggi, grazie alla crescente sensibilità dei pescatori che rispettano il mare e operano nella piena legalità nonostante le difficoltà che il settore attraversa, è un’occasione per proteggere il mare”.
La collaborazione tra il Centro Recupero Tartarughe Marine del WWF di Molfetta e il gruppo
di ricerca del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari, coordinato dal prof. Antonio Di Bello, ha consentito di diagnosticare su un numero ingente di tartarughe marine della specie Caretta caretta pescate a strascico una patologia grave, spesso letale, individuata di recente come embolia gassosa associata a Malattia da Decompressione (MDD o Decompression Sickness DCS).
“Si tratta di una patologia ben conosciuta in medicina umana derivante dalla formazione di bolle gassose in un organismo, provocata dalla mancata eliminazione di gas inerti (azoto) dopo un immersione e soprattutto dopo risalite repentine in superficie – sottolinea il prof. Di Bello – Questa patologia nelle tartarughe marine è dovuta al fatto che gli animali catturati dalle reti vengono trascinati troppo velocemente verso la superficie marina, esponendoli ad una decompressione repentina che può essere letale. Fino a pochi anni fa si riteneva che gli animali che si immergono in apnea come i mammiferi e le tartarughe marine non potessero essere colpiti dalla MDD. In realtà la patologia è stata riscontrata e comprovata scientificamente anche su questi animali ma gli studi sono ancora all’inizio e molto scarsi. Quello che è certo è che il suo impatto sulla popolazione di tartarughe del Mediterraneo è probabilmente drammatico poiché quando gli animali pescati a strascico vengono rilasciati in mare , e accade ancora spesso, non mostrando, appena liberati dalle reti, sintomi evidenti. Sintomi che si manifestano nell’arco di poche ore dal rilascio, condannando gli animali a morte certa. Gli animali pescati a strascico vanno spesso incontro anche ad annegamento ed è essenziale una diagnosi differenziale considerando che possono essere colpiti contemporaneamente da entrambe le affezioni”.
Per salvare il numero più alto di animali possibile bisognerebbe agire non soltanto sulle modalità di pesca, soprattutto in certi periodi dell’anno, ma anche attraverso una capillare informazione dei pescatori (soprattutto quelli che effettuano la pesca a strascico). “Le tartarughe marine – conclude Di Bello – non vanno mai liberate immediatamente in mare ma conferite ad un centro di recupero, con esperti in grado di stabilire diagnosi e cura. Inoltre sono essenziali per la sopravvivenza delle tartarughe marine ulteriori studi mirati e approfonditi sull’embolia gassosa da MDD, allo scopo di individuare la terapia più idonea che probabilmente come nell’uomo risulterà essere la terapia iperbarica”.
Per Pasquale Salvemini, responsabile del CRTM di Molfetta, “si tratta di un ottimo risultato quello ottenuto nei primi due mesi dell’anno, e sicuramente la nuova struttura di Bisceglie sarà ottimale per proseguire sia sulla sensibilizzazione delle marinerie del medio e basso adriatico ma anche per promuovere una più accurata ricerca scientifica, essenziale per chi opera nella conservazione di una specie minacciata”.
Tutte e 7 le specie di tartaruga marina sono considerate a rischio estinzione e la causa principale è l’impatto con le attività umane, a partire dalla pesca accidentale. In tutto il Mediterraneo si stima che ogni anno più di 130.000 Caretta caretta vengano catturate accidentalmente negli attrezzi da pesca, di cui oltre 40.000 non sopravvivono. Mentre in Italia la pesca accidentale colpisce più di 20.000 esemplari all’anno. Anche nell’estate 2016 sono diversi i campi di volontariato WWF per le tartarughe marine: www.wwf.it/tu_puoi/volontariato/
Antonella Loprieno
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