Dichiarazioni dai toni forti e amari, quelle rilasciate ieri, 29 novembre, alla stampa dalla famiglia di Mario Simone, l’ex carabiniere 51enne ferito a morte in Brasile, a Igarapè-Miri (Regione del Parà), e poi morto nell’Hospital metropolitano di Alameda.
Pasquale Simone, fratello della vittima, ha espresso tutte le difficoltà che sta incontrando la sua famiglia per il rimpatrio della salma e la mancanza di supporto delle istituzioni per un cittadino italiano emigrato all’estero.
“Mario si era trasferito in Brasile per fare una vita dignitosa come merita qualsiasi uomo in pensione. Dopo aver servito la Patria per 25 anni ed essersi “cucito addosso” la divisa dell’Arma, mio fratello aiutava i più deboli, i bambini, le donne malmenate dai propri mariti: era un “missionario” senza tunica.
Viveva con una donna del luogo e proteggeva anche i figli della stessa. Aveva aperto un’impresa di perforazioni per andare incontro alla mancanza d’acqua potabile di quei luoghi”.
Poi rivolge un appello allo Stato italiano e alle istituzioni locali: “Noi vogliamo che la Farnesina si renda conto di aver sbagliato, di non aver dato la giusta assistenza all’arrivo di Mario in Brasile. Nessuno gli è stato vicino. Era un uomo forte ma la criminalità organizzata brasiliana non guarda in faccia a nessuno.
Quella rivolta contro mio fratello è stata un’azione punitiva, cinque uomini incappucciati non gli hanno permesso nemmeno di proferire una parola prima di ferirlo a morte”.
“Qualcosa si sta muovendo con l’aiuto di forza politiche locali grazie alle quali l’ambasciatore e il console brasiliani si sono interessati alla vicenda. Vogliamo quanto prima far rientrare la salma in Italia” – ha poi concluso Simone.
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