Nel rivedere le immagini di una emittente televisiva locale relative alla inaugurazione delle nuove opere parrocchiali della parrocchia di S. Maria degli Angeli in Barletta, avvenuta il 30 aprile scorso, il mio pensiero è volato subito ad una caratteristica delle nuove frontiere dell’edilizia di culto: ogni progetto non può e non deve limitarsi alla costruzione dell’aula assembleare, alla sacrestia, agli uffici parrocchiali e alla casa canonica, ma deve necessariamente prevedere le strutture per gli incontri, per la catechesi, per la caritas e soprattutto gli spazi per l’oratorio.
E’ questa una visione ampia che vede la parrocchia inserita in un territorio e al servizio di esso, alla cui realizzazione concorrono diversi attori: la comunità ecclesiale per il tramite degli uffici diocesani preposti e la società civile per mezzo delle istituzioni in modo particolare dell’amministrazione comunale che è espressione della dimensione politica della società stessa. Chiesa e amministrazione, se da un lato hanno una specifica mission, dall’altro sono chiamati alla sinergia perché entrambi innervati in un contesto territoriale che presenta criticità, ma anche con punti di forza, che vanno affrontate assieme per quanto possibile e anche con l’apporto di altri attori (come, per fare solo qualche esempio, la scuola, il mondo associazionistico, del volontariato e imprenditoriale).
Questa sinergia è a sostegno dei più recenti progetti, per rimanere su Barletta, oltre di quello della parrocchia S. Maria degli Angeli, come quello delle parrocchie S. Andrea, SS. Trinità e S. Nicola, per non andare lontano nel tempo.
Invero, non si riesce a trovare una soluzione alla questione della parrocchia Buon Pastore, che si vorrebbe dotare di casa canonica e di un piccolo oratorio. Questione che, a parere mio, sarebbe opportuno guardare non solo ed unicamente sul piano tecnico-giuridico-formale, pur importante e necessario, ma anche su quello più legato alla vita di un territorio, nel quale, con la casa canonica e con l’oratorio, vedrebbe rafforzata una presenza, quella dei sacerdoti, chiamata alla cura, all’ascolto, al dialogo, a stare accanto soprattutto a chi è solo e vive nell’indigenza.
Ma la collaborazione e la condivisione possiamo trovarle già operative altresì su altri orizzonti, l’elenco potrebbe essere lungo! Mi piace però citare il servizio della mensa S. Ruggero di via Barberini capace di offrire centinaia di pasti al giorno e il progetto in via di realizzazione nell’ex convento di S. Antonio, dove sorgeranno il museo diocesano ed altre opere sul piano culturale.
Non desidero qui prendere in esame le variegate ragioni che fanno da sfondo alla citata sinergia di chiesa e istituzioni per farne un consuntivo esaustivo. Non è questa la finalità della presente riflessione! Mi piace però esprimere un profondo convincimento, che poi, è un dato acquisito, per cui non dico alcuna cosa nuova: l’azione della chiesa, che è finalizzata primariamente alla fede cristiana e alla trasmissione di essa, ha un risvolto formativo ed educativo anche laicamente inteso per il rilevante spessore valoriale ad essa connesso, soprattutto in ordine alla nuove generazioni. Sono migliaia i bambini, i ragazzi, i giovani che riempiono le aule del catechismo e gli spazi degli oratori. C’è da avere timore di questo? Non direi e non direbbe chi vi vive dentro o chi vi mette piede!
Invero sono luoghi dove i genitori volentieri portano i propri figli per l’educazione alla fede, sono luoghi dove i giovani sono liberi di entrarvi o non, senza alcuna costrizione. Sono luoghi dove si insegna che Dio è il creatore, ma che la nostra casa comune va rispettata; in cui si declinano i dieci comandamenti, ma che bisogna fare la raccolta dei rifiuti in maniera differenziata e chi non lo fa commette peccato oltre che violare la legge; dove si propone il progetto di Dio sulla vita e sulla famiglia, ma dove si insegna che vanno rispettate le diversità e che tutti hanno eguale dignità perché figli di Dio!; dove si dice ai giovani che la vita è compito, è vocazione, è assunzione di responsabilità, che la libertà non è fare quello che passa per la testa ma che è un decidersi ad abbracciare un orizzonte di bene, che la propria felicità non può dipendere dall’assunzione di sostanze ma va ricerca in sé e nella sana relazione con gli altri e, perché no?, nella forza della fede!; dove si insegna che la dimensione del servizio, della solidarietà e della sussidiarietà deve connotare i rapporti umani, tra i singoli, tra le comunità, tra i popoli, come ha insegnato Gesù che, pur essendo maestro e Figlio di Dio, ha voluto espressamente lavare i piedi ai suoi discepoli!
Vorrei chiudere queste riflessioni, che so incomplete e sparse, con quanto è affermato in un documento dei vescovi italiani sugli oratori: “Benedetto XVI ha definito ‘fortunati’ i ragazzi che hanno la possibilità di frequentare gli oratori e ha ricordato che ‘l’oratorio, come dice la parola, è un luogo dove si prega, ma anche dove si sta insieme nella gioia della fede, si fa catechesi, si gioca, si organizzano attività di servizio e di altro genere’. Ha incoraggiato i giovani ad essere frequentatori assidui dell’oratorio ‘per maturare sempre più nella conoscenza e nella sequela del Signore’ . I progetti oratoriali possono contribuire in modo determinante al processo di crescita umana e spirituale, dalla fanciullezza fino alla giovinezza. L’oratorio rappresenta, nel contesto delle iniziative delle Chiese locali, ‘un punto solido per la pastorale dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani’” .
L’oratorio, dunque, come valida e costruttiva alternativa ad una serie di mode e di tendenze operanti nel mondo giovanile molto discutibili e preoccupanti basate su una visione consumistica dell’esistenza, sulla banalizzazione delle relazioni, e su certi surrogati della felicità come quella, che spero stia lontana da noi, della recentissima blue whale.
Diacono Riccardo Losappio
Direttore ufficio stampa diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie
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