Heidegger ha parlato e scritto sullo spavento o paura come di una prima modalità fenomenologica dell’essere “gettati nel mondo”; in altri contesti il filosofo Vico ha indagato a fondo il puro segno del timore come forma essenziale del linguaggio e dell’età degli dèi.
I poeti teologi greci da un lato e i patriarchi ebrei dall’altro, hanno tentato di articolare in linguaggio mitico il semplice terrore sensibile per la nostra difficile collocazione nel mondo naturale.
Ancora più interessante e decisivo diventa il passaggio alla “ fabula “e quindi ad una netta estensione delle capacità immaginative e poetiche:
“metonimia, sineddoche, metafora, più tardi la stessa ironia, permettono alla mente umana di esprimere i caratteri, che la distaccano dall’immediatezza sensibile e le conferiscono capacità di riflessione simbolica”.(Nicola Badaloni)
La riflessione simbolica e la forza delle analogie e delle similitudini aprono quindi il vasto campo della narrazione umana, scientifica e letteraria, e permettono anche una forte estensione della plasticità umana, in grado di rielaborare lutti, perdite, drammi, separazioni, difficili collocazioni e aprendo al tempo stesso spiragli e respiri di godimento dell’esistenza e persino della stupenda facoltà di ridere.
Saltare la fabula, riducendo la vita ad una polarità tra gli estremi dello spavento e della tecnica, comporta una secca perdita della capacità di vivere, amputando l’esistenza dei tre respiri indicati dal grande Leopardi: la sapienza analogica, il riso, il dono dell’amore.
Vico ha spinto molto sulla riflessione simbolica e quindi sulla fabula per proporre un umano allontanamento dal timore puro iniziale e dalla boria tecnica dei moderni.
Senza esercitare un volo pindarico, possiamo applicare questa breve nota riflessiva alle semicatastrofi provocate dalla cosiddetta “buona scuola”.
I danni provocati dalla riforma della scuola non riguardano soltanto la questione dei viaggi dei precari, ma toccano anche il punto delicato della “fabula”, ovvero si sottodeterminano i contenuti, le narrazioni, le immaginazioni, le invenzioni, le analogie, le satire, le ironie e tante altre cose, per oscillare tra lo spavento, accentuato dall’assenza di lavoro, e le magnifiche sorti della tecnica digitale, presentata in modo borioso come risolutiva, progressiva e persino superiore alla sapienza analogica.
Risultato? Adolescenti e giovani con ricorrenti attacchi di panico (spavento) che dedicano intere giornate alle tecniche digitali, cosi fortemente propagandate da imprudenti dirigenti e docenti di oggi.
Il mondo non viene più articolato in narrazioni, le paure non vengono superate ma erroneamente sublimate in “onnipotenze tecnologiche”.
Tutto ciò merita di essere sottolineato, almeno quanto i danni materiali, poiché trattasi di un’autentica devastazione della psiche umana, privata della sua necessaria plasticità.
Luigi Vavalà.
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