Il primo gennaio, da molti anni ormai, è un giorno consacrato al tema della pace, e questo da ben cinquant’anni, da quando il beato Paolo VI proclamò questo giorno come “giornata mondiale della pace”. E ogni anno il Papa sottolinea un aspetto del tema della pace con un suo messaggio che manda a tutti i capi di stato, a tutti i governanti, a tutti i vescovi e agli uomini di buona volontà.
Quest’anno il messaggio del Papa sottolinea il tema della non-violenza attiva come atteggiamento necessario del cuore, come “stile di vita”, da portare in tutte le relazioni che viviamo, a cominciare dalla casa, la famiglia, e poi il lavoro, le amicizie, fino ad arrivare al servizio al bene comune che è l’esercizio della politica. Tutto deve essere permeato dalla scelta della non violenza, che non è pura rassegnazione e rinuncia ad ogni tipo di impegno, ma una non-violenza attiva, dice il Papa.
Non c’è solo la violenza delle armi, quella è l’estrema. C’è la violenza dei sentimenti, delle parole, dei gesti quotidiani. Ma ci dobbiamo convincere che chi crede veramente al vangelo ripudia la violenza senza se e senza ma, senza eccezioni. Una non-violenza attiva che vuol dire una scelta di impegno perché questa cultura di pace maturi nei cuori e nelle menti di tutti quelli che incontriamo nel nostro vissuto quotidiano. A riguardo ecco uno stralcio interessante del messaggio del Papa: «La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti».
L’insegnamento del Papa prende le mosse – e non potrebbe essere diversamente – dall’esempio datoci da Gesù stesso. Anche Lui – afferma il Santo Padre – «visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). Ma – continua il Papa – il messaggio di Cristo, di fronte a questa realtà, offre la risposta radicalmente positiva: Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Quando impedì a coloro che accusavano l’adultera di lapidarla (cfr Gv 8,1-11) e quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16)».
Certamente le occasioni per litigare, per fare guerra ci sono, mille al giorno, ma se noi abbiamo un animo disponibile all’accoglienza le superiamo, se noi invece siamo cattivi dentro basta una scintilla e scoppia la bomba. Allora non è la convivenza forzata ad essere causa di conflitti, siamo noi ad essere cattivi, perché non sappiamo gestire la convivenza accogliendo le diversità senza contrapporci ad esse.
La nonviolenza, aggiunge ancora il papa, «è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così». E cita come esempio la bella figura di Madre Teresa di Calcutta, da lui stesso dichiarata beata nel settembre scorso. Il Papa non esita a additarla come «un simbolo, un’icona dei nostri tempi».
Molto interessanti e vibranti sono le parole che troviamo sul finire del n. 4 del messaggio papale. Francesco proclama solennemente e con forza, per smentire quanti prendono a pretesto alcuni avvenimenti degli ultimi tempi, a causa dei quali s’è diffusa la convinzione che all’origine di tante violenze ci sono le diversità e le conseguenti intolleranze religiose: «Lo ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista». La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».
E dunque: aspettare, desiderare, sognare, cercare, invocare la pace significa anche convertirci su questo aspetto, imparare a saper convivere con la diversità, non essere intolleranti, non essere persone che pretendono di avere sempre per forza ragione su tutto.Principi elementari, basilari – potremmo dire – che se noi, nel nostro piccolo, potessimo cercare davvero di elaborare come pensiero, come stile di vita, allora certamente la pace, questo bene immenso che ogni uomo desidera, ci verrà donata dal cielo.
Per concludere queste brevi note, mentre invio a tutta la comunità diocesana, tramite il nostro foglio diocesano Insieme, l’augurio di pace e di serenità per questo anno che si apre, mi piace riportare le stesse parole, davvero ispirate, con cui il Papa conclude il suo messaggio: «Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla. Nel 2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace».
Vescovo Luigi Mansi
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