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Trani – Carcere: visita della delegazione pugliese del Partito Radicale

30 Dicembre, 2016 | scritto da Redazione
Trani – Carcere: visita della delegazione pugliese del Partito Radicale
Attualità
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“Entriamo nel carcere di Trani alle 10.30 del 26 dicembre, dopo aver superato qualche difficoltà: pare non si trovassero le nostre autorizzazioni – scrive Maria Rosaria lo Muzio militante pugliese del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale, Transpartito- ; siamo in tre, con me ci sono Anna Briganti e Daniela Corfiati.
Nella sezione “Italia”, i detenuti ci ricevono nei corridoi e le celle sono tutte aperte. E’ la modalità che prevede una sorta di carcere a “regime aperto” che, per i detenuti a media e bassa pericolosità, potenzi gli spazi dedicati a lavoro, sport, attività ricreative e culturali, si definisce anche “vigilanza dinamica” e dovrebbe puntare all’aspetto riabilitativo della pena. Qui ci sono i detenuti con pene inferiori ai cinque anni, molti di loro sono a pochi mesi dalla scarcerazione.
E dopo i rituali convenevoli, il caloroso benvenuto e le frasi di cortesie il discorso va a finire là, la legge 199/2010, Detenzione domiciliare pene non superiori a diciotto mesi stabilizzata dal dl 23 dicembre 2013 n. 146. La norma prevede che ai condannati con pena detentiva (anche residua) non superiore a diciotto mesi, può essere concessa dal Tribunale di sorveglianza la possibilità di scontare la pena presso la propria abitazione o un altro luogo, pubblico o privato.
I detenuti del carcere di Trani lamentano un uso troppo restrittivo di questa norma da parte della Magistratura di Sorveglianza, qualcuno dice che nelle Carceri del nord Italia la 199/2010 è applicata con maggiore frequenza. Molti di loro sarebbero già a casa, qualcuno fa anche i conti, in quel corridoio rimarrebbero 3 detenuti. A chi giova tenere in carcere fino agli ultimi giorni questi individui? Qual è il motivo di questa scelta? Ha forse a che fare con quello che potremmo definire il “business del detenuto”. In Italia il costo per lo Stato di un mese di detenzione si aggira mediamente sui 3.500 euro al mese, di cui poche briciole nella misura di circa 250 euro al mese sono utilizzate per le esigenze del detenuto, la restante e preponderante parte finisce nel “sistema”.
Hanno voglia di parlare i detenuti di Trani e lo fanno apparentemente con grande libertà. Raccontano delle lunghe ore vuote, giornate, settimane, mesi ed anni vuoti, nelle carceri pochissimi lavorano, la gran parte di loro ozia tutto il giorno, un ozio forzato e avvilente. Prima di lasciarli li ringraziamo per la massiccia adesione al digiuno del 5 e 6 novembre, svoltosi in occasione della marcia per l’amnistia organizzata a Roma il 6 novembre, nella Giornata del Giubileo dei detenuti, conclusasi con Rita Bernardini, Paola Di Folco, Irene Testa e Maurizio Bolognetti, in digiuno da settimane, che hanno portato lo striscione con la scritta AMNISTIA in piazza San Pietro.
Li salutiamo e andiamo mentre scroscia un applauso in ricordo di Marco, Anna Briganti ed io ci guardiamo: ci hanno fatto commuovere.
Incontriamo, a piano terra, quattro “permessanti” al rientro dopo il Natale trascorso in famiglia. Sorridono, ci raccontano che da un po’ c’è un bravo Magistrato di sorveglianza che ha lavorato con impegno per consentire a molti di loro di trascorrere le festività a casa.
Andiamo poi dall’altra parte, nella sezione Blu, dove le condizioni dei detenuti sono completamente diverse. Chi finisce qui, e non è chiaro quali siano le dinamiche che ti destinano dall’una o dall’altra parte, è costretto a vivere in condizioni inumane e degradanti, in celle affollate, invase da letti a castello, chiuse per la gran parte del giorno, con la possibilità di uscire per 4 ore d’aria da farsi entro delle gabbie, i “passeggi”. Molti di loro ci hanno detto che non escono mai, preferiscono restare in cella. E andiamo a vederli questi “passeggi”, queste gabbie con il cemento a terra e sui muri ed il cielo che si vede a quadretti dietro una rete. Accanto un campetto da calcetto, che ci spiegano è costato 50.000 euro e in condizioni tali da farmi chiedere: – …e degli altri 49.000 euro cosa ne è stato fatto?- Perché il problema vero è anche come le risorse messe a disposizione vengano impiegate, chi controlla o chi dovrebbe controllare che i soldi vengano spesi bene?
Ma torniamo alle celle, nelle quali i bagni sono aperti, cioè c’è un water, accostato al muro, con accanto un lavandino. Così i bisogni corporali si fanno “a vista”, a Trani, in Italia nell’anno 2016. Neanche una tenda davanti alla cancellata della cella è consentita. Ci sono solo poche docce comuni, non tutte funzionanti, in luridi ambienti con piastrelle scrostate, con postazioni divise da bassi muretti.
Così vivono per anni esseri umani chiusi entro pochi metri quadrati. Dov’è la funzione rieducativa della pena, dove sono le condizioni per la riabilitazione di chi ha infranto la legge? E lo Stato non infrange ogni giorno le sue stesse leggi costringendo suoi cittadini, perché i detenuti restano dei cittadini, a vivere senza poter tutelare la propria dignità?
Questa detenzione odora solo di vendetta e menefreghismo, la punizione va ben oltre la privazione della libertà personale, diventa accanimento e tortura, già quel reato che in Italia continua a non esistere nell’anno 2016.
Andiamo nelle cucine, dove lavorano 5 detenuti, ci portano anche nel piccolo laboratorio dove si fanno i taralli, grazie alla Cooperativa sociale Campo dei Miracoli: vi lavorano 5 detenuti, 4 di loro scendono al mattina e preparano i taralli, mentre un altro nel pomeriggio li imbusta. Ce ne regalano un pacco a testa ed uno che apriamo a mangiamo già durante la visita. I taralli sono buonissimi.
Arriviamo in infermeria, ci spiegano che il medico è presente in Istituto 24 ore al giorno e che ad intervalli regolari arrivano anche alcuni specialisti. Incontriamo un medico, ci racconta quel che già sappiamo, perché lo abbiamo visto e sentito tante altre volte, i farmaci scarseggiano, i detenuti fanno grande uso di psicofarmaci, soprattutto per affrontare le notti, il servizio sanitario nelle carceri è peggiorato da quanto è stato affidato alle ASL ed è stata soppressa la Medicina penitenziaria. D’altra parte il Servizio Sanitario in Puglia vive una stagione di grossi cambiamenti e tagli. – Ma un dolor di denti nel carcere non è come un dolor di denti fuori- dice il medico. Lo sappiamo, nel carcere la percezione del dolore, le emozioni e le paure hanno una consistenza diversa: i detenuti, privati della libertà personale, tornano in una sorta di stato di minorità, costretti come sono per tanto tempo a non poter prendere decisioni per se stessi, diventano molto più fragili e a volte hanno delle reazioni quasi da bambini. La soglia del dolore si abbassa, la richiesta del farmaco, l’affidamento al potere taumaturgico della sostanza diventa pressante. Chi lavora nelle carceri lo sa, l’aspetto sanitario è uno dei grandi problemi degli Istituti di detenzione.
In carcere purtroppo non ci si ammala soltanto, capita pure di morirci. Nel 2016 le morti in carcere di detenuti sono state 109, tra suicidi, morti per cause da chiarire, casi di overdose o semplicemente esiti di una assistenza sanitaria inefficiente.
Nella nostra visita non incontriamo né il Direttore, né il Comandante, sono giorni di festa, è rosso sul calendario, non ci sono neanche gli educatori, ci accompagna un Ispettore e alcuni agenti, ci raccontano di essere drammaticamente sotto organico, di essere obbligati a turni molto ravvicinati, di essere costretti anche ad affrontare situazioni che li mettono a rischio, spesso ad intervenire in tentativi di suicidio, a volte senza riuscirci. Raccontano qualche episodio, come l’ultimo suicidio sventato di un detenuto che aveva tentato di impiccarsi con le lenzuola.
Ormai sono trascorse alcune ore, chi ci ha accompagnato ha fretta di andare a casa. Noi anche questa volta usciamo dal carcere con la consapevolezza di dover percorrere ancora tanta strada per l’affermazione dei diritti di questi cittadini dimenticati”, conclude Maria Rosaria lo Muzio.

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