Sono 46, migranti africani, ragazzi tra i 14 ed i 25 anni, costretti a lasciare la propria terra, le proprie radici, nella speranza di una vita migliore. Hanno sfidato la morte e lo hanno fatto letteralmente, subendo violenze, attraversando il mare, stretti in un barcone tanto della speranza, quanto della disperazione.
Adesso sono in fase di assestamento, sono a Trani, ospitati dalle suore Figlie della Carità di S. Vincenzo d’ Paoli site in via Mario Pagano ed accolti dall’abbraccio della comunità.
“Non si può rimanere indifferenti davanti al dolore – Giovan Battista Picchierri, Arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, che continua -. Ho sentito la superiora, Suor Lucia, che mi aggiorna costantemente riguardo alle condizioni dei ragazzi. Il Signore ha mandato questa sua presenza nella nostra comunità, nella casa delle sorelle vincenziane, e sta mostrando la propria misericordia attraverso le mani ed i cuori dei volontari, a cominciare dalla fondazione Santa Maria Goretti di Andria, che fa capo a Don Geremia Acri che apprezzo e stimo tantissimo per il suo impegno nella Diocesi di Andria. Per quanto mi riguarda, presto andrò a far visita a questi giovani. Ho chiesto di poterlo fare in un tempo favorevole a stabilire con loro un dialogo sereno”.
E’ un lavoro sinergico, infatti, quello messo in atto dalle due diocesi e dai rispettivi due comuni, Andria e Trani.
“In accordo con il Vescovo della Diocesi di Andria, Mons. Luigi Mansi, abbiamo chiesto alla città di Trani di aiutarci, di ospitare questi quarantasei ragazzi – dichiara Don Geremia, responsabile della fondazione Goretti di Andria – perché la nostra struttura è satura. Abbiamo ricevuto una bella ed immediata risposta sia da parte delle istituzioni politiche che ecclesiali. Il senso della nostra missione, del nostro agire quotidiano, è quello di salvare l’umanità che spesso va scemando. Ad Andria accogliamo anche cittadini in difficoltà, insieme ai profughi”.
Il caso di questi ultimi è un caso limite, continua il sacerdote, spiegando che molti di loro vengono maltrattati, costretti a salire sui barconi, subiscono violenze fisiche e sono costretti ad affrontare viaggi terribili, bevendo le proprie urine per sopravvivere, quando riescono. Ammonisce il perbenismo di facciata Don Geremia e senza peli sulla lingua.
“Ai tanti pifferai che emettono suoni afoni e non hanno contezza, a quei credenti che si commuovono davanti alle statue e non davanti agli uomini, dico che questo è grave. E questo lo dico anche ai non credenti, che si emozionano facilmente davanti ad una partita di calcio, che mostrano le lacrime cantando l’inno, ma non piangono davanti alle atrocità di questa gente. Se per i non credenti a dire che ciò è sbagliato è l’articolo 10 della nostra costituzione, per i credenti lo dice anche il vangelo. Chi non accetta l’uomo, non accetta Dio. L’indifferenza, il pregiudizio, l’ostilità, sono gravi peccati che dovremo giustificare, un giorno, al Suo cospetto. Questo è un olocausto e noi saremo giudicati come criminali. Io non voglio essere giudicato così. La storia non mi ricorderà così”.
Interviene anche il Pro Vicario Generale, Mons. Giuseppe Pavone in linea con quanto detto, portando, però, con commozione, la sua esperienza personale.
“Dal punto di vista ecclesiale c’è stata un’accoglienza strabiliante. Da Andria alle parrocchie, in particolare la comunità di Santa Chiara di Don Alessandro Farano. ma anche le istituzioni politiche e i cittadini comuni. E suor Lucia, la superiora infermiera dell’anima e del corpo, lei che si sta prendendo cura dei ragazzi con una forza che viene dal cuore e sta sempre tra loro. Rimanere indifferenti è un atto disumano. Io per primo ricordo quando, da bambino, con la mia famiglia, ho dovuto lasciare la mia città per emigrare, andare al Nord, in una città inizialmente ostile, lontana dalle mie radici. Vedere questi ragazzi mi ha commosso, mi ha fatto tornare in mente il passato e pensare che adesso loro hanno bisogno di amore e presenza, quella presenza che molti cittadini, volontari, comunità cattoliche e non, stanno dimostrando, andando a bussare in convento ad ogni ora del giorno per mostrare la propria vicinanza”.
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