di Antonio Leonetti
Ciro Lavigna è uno scrittore andriese, alla sua terza opera, si presenta al pubblico con “l’autobus che porta al mare” un racconto leggero, fluido ed emozionante per tutte le età.
I personaggi del racconto si muovono abilmente nei diversi avvenimenti, rappresentando ciascuno una delle caratteristiche del mondo giovanile.
Il racconto è ambientato negli anni Novanta in cui la tecnologia e soprattutto gli smartphone non rappresentavano lo stereotipo della società. Forse proprio per questo motivo mi hanno personalmente colpito i protagonisti nei quali ho trovato profonda innovazione spirituale, accompagnata da valori che dovremmo coltivare più spesso, quali: il rispetto, l’attesa, il profumo, il tatto, la corrispondenza, e soprattutto la profondità degli affetti.
Buona lettura.
L’autobus che porta al mare è l’ultima opera scritta da Ciro Lavigna, uno scrittore sulla quarantina, della città di Andria. Dopo aver letto con molto piacere il tuo racconto che ho trovato molto fluido e leggero, ho pensato di scriverti alcune domande, ma fermandomi a pochi passi dalla conclusione del testo. Da dove nasce la tua necessità di scrivere e condividere con noi i tuoi racconti?
Penso che tutti noi abbiamo bisogno di esternare quello che portiamo dentro, in tutti noi si nasconde una vena artistica che ha voglia di venire fuori, il viatico potrebbe essere la musica, la pittura e se ne potrebbero citare altri, tra cui anche la scrittura come nel mio caso. Forse la necessità, come la definisci tu, è nata proprio dal bisogno di esternare emozioni e sensazioni proprie, affidandole a personaggi e storie inventate, dapprima per il puro piacere personale, in seguito per uno spirito di condivisione dettato dalla voglia di mettersi in gioco. Mi entusiasma, quando ne ho la possibilità, confrontarmi con il lettore per carpirne apprezzamenti e critiche e farne tesoro. Ho adorato talvolta scoprire che molti di loro sono entrati in empatia con alcuni personaggi della storia ed è stata per me una gioia ed una immensa soddisfazione.Riuscire a far emozionare il lettore è per me una sensazione impagabile.
Riporto un passo in cui Peppino dice: “adesso hai capito perché voglio andare via da qui, questa città di retrogradi mi va stretta, appena finita l’università me ne andrò”. È una frase che molti genitori della nostra città hanno ascoltato spesso pronunciata dai propri figli. Io in primis nel momento in cui ho avuto la possibilità di scegliere quale facoltà seguire, ho seguito quanto espresso da Peppino. Come possiamo contestualizzare al meglio questa necessità di andare via da casa con l’ambiente in cui viviamo?
Uno dei messaggi che spero di aver trasmesso con questa storia è che non bisogna smettere di cercare la felicità, non bisogna smettere di sognare e perché tutto ciò avvenga, bisogna trovare il proprio posto nel mondo, che sia a due passi dalla casa natale o in un altro emisfero, non ci si deve per forza accontentare ed omologarsi agli stereotipi della società in cui si nasce. Madre Teresa di Calcutta ha detto: “La vita è felicità, meritala” ed io aggiungerei ovunque essa sia.
In questa storia d’amore tra Daniele e Agata vengono portati in evidenza argomenti spesso tabù, ma nel tuo testo i personaggi che se ne fanno carico sono decisi e sicuri della bontà di quanto espresso: durante un monologo di Daniele: “forse non si può essere felici in due per sempre, la storia del finché morte non ci separi non attecchisce in tutte le unioni; io, più pragmaticamente, la riformulerei in finché la felicità non ci abbandoni. Come può equilibrarsi con la continua ricerca di Agata da parte di Daniele?
Il monologo è una evidente considerazione sul matrimonio, non tutte le coppie sono fatte per stare insieme per tutta la vita ed è giusto che determinati rapporti debbano terminare se non sono accompagnati da sentimenti profondi e soprattutto se viene a mancare la felicità. Riguardo a Daniele non è sempre alla continua ricerca di Agata, piuttosto cerca di allontanarsi da lei, cerca di rifuggire da questo bisogno di averla accanto volgendo il proprio sguardo altrove, cercando di compensare la sua mancanza con nuovi orizzonti e nuovi sorrisi, anche se in ognuno di loro troverà un pezzettino di lei. Ad equilibrare il tutto c’è l’amore con la sua imprevedibilità, la sua indomabilità e soprattutto l’impossibilità di imporgli un equilibrio.
Il personaggio di Peppino esprime in sé il vero animo dello scrittore, di contro a quello espresso dal protagonista: trovo molto innovativo il personaggio di Peppino, raccontaci quali sono stati gli spunti che ti hanno portato a così tanta introspezione.
La tua chiave di lettura riguardo al personaggio di Peppino è intrigante ed interessante. Personalmente mi ha sempre incuriosito l’omosessualità e mi sono affacciato ad essa sempre con una curiosità famelica e nonostante non ne abbia mai sposato personalmente la pratica credo da profano che inognuno di noi si celi una latente omosessualità. Ho avuto amici ed amiche omossessuali ed in loro ho adorato la sensibilità, che sembra più accentuata o perlomeno non viene forzatamente nascosta come se fosse un segno di debolezza. È proprio per questa stima e per il rispetto che nutro in loro che mi sembrava giusto che in un romanzo che parla d’amoreci fosse un personaggio omosessuale a decantarne la poesia.
Apprezzo molto il racconto, mi hanno entusiasmato la sua parte meno tecnologica (siamo in un periodo in cui gli smart phone non esistevano) e l’amore trasmesso utilizzando la carta: come pensi si possano trasmettere, contestualizzando, ai lettori quei valori come l’attesa, il profumo, il tatto, lo scrivere e il pensiero e soprattutto la profondità degli affetti?
Credo che ogni generazione abbia il suo modo di vivere gli affetti, d’altronde la società è in continua evoluzione o involuzione dipende dai punti di vista. Certe sensazioni vanno vissute e bisogna spronare le nuove generazioni a farlo, raccontandogliele. Io lo faccio scrivendo e nel libro non c’è volutamente alcun riferimento ai social ed agli smartphone, la generazione attuale è sempre più drogata di voyeurismo mediatico ed io speravo di far riscoprire la bellezza delle cose semplici raccontandole, come le passeggiate di sera a piedi scalzi sul bagnasciuga, gioire delle luminarie che circondano la luna, ascoltare il respiro del mare, conservarne il suo profumo ed accorgersi di quanto il sorriso su un viso che arrossisce alle lusinghe possa essere indimenticabile senza la pubblicità di un selfie, ma nell’intimità del proprio cuore.
Ciro regalaci un passo da condividere con i nostri lettori e che possa insegnarci a vivere meglio.
Semplicemente ti lascio una delle tante riflessioni della voce narrante del mio romanzo che sento molto mia: “Credo che durante la nostra esistenza nulla accada per caso, esiste un filo conduttore spesso invisibile ai nostri occhi che unisce le persone. Se c’è una cosa che ho imparato è che non si può fuggire da quello che siamo, avrei potuto continuare a girovagare e vivere di quello che avrei trovato sulla mia strada, ma non avrei fatto altro che mentire a me stesso, coltivando la solitudine nel mio cuore. Ci sono uragani che ci portiamo dentro che non muoiono mai, a volte rallentano il loro moto, altre si riconoscono in nuove tempeste del cuore, ma da qualche parte dentro di noi continuano a muoversi impetuosi finchè non trovano la loro giusta destinazione.
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