Quando si parla di lavoro nero, il lavoratore tende ad apparire solitamente come “vittima” del proprio titolare, senza colpa alcuna.
Occorre sottolineare, invece, che il lavoratore in nero è considerato a tutti gli effetti di legge un dipendente e, anche se non formalizzato, si considera esistente un contratto di lavoro.
In base a questo presupposto si possono applicare tutte le norme relative alla tutela del lavoratore in nero il quale gode degli stessi diritti e delle stesse garanzie del lavoratore assunto regolarmente.
Solitamente si ricorre a far causa per lavoro in nero per varie motivazioni, la prima in assoluto è quella relativa alla mancata corresponsione della retribuzione.
La prima cosa da sapere, nel caso in cui si voglia agire contro il proprio datore di lavoro per fare una causa per lavoro in nero è il termine di prescrizione, ovvero si può agire entro i cinque anni dalle dimissioni o licenziamento da parte dell’azienda, in secondo luogo occorre munirsi della prova dell’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, chi agisce, infatti, deve dimostrare i fatti posti a fondamento del proprio diritto.
In realtà, non è difficile da mostrare un lavoro in nero quando si è prestato il servizio per molti anni, potranno essere chiamati a testimoniare anche gli stessi clienti dell’azienda, i colleghi o i fornitori…
È necessario, inoltre, dimostrare l’orario lavorativo osservato. Sotto questo aspetto è possibile ricorrere alle dichiarazione di un familiare o addirittura, per chi ha lavorato a turni, potrebbe esibire i prospetti con i relativi turni di lavoro effettivamente svolti.
C’è un aspetto molto importante da non sottovalutare!!!
Anche se il Job Act ha insaprito le sanzioni contro il lavoro nero, è obbligo anche per i prestatori d’opera rispettare quanto comunicato agli organi di competenza.
Di norma, colui che viene impiegato in nero è considerato la parte debole del rapporto e non rischia alcuna sanzione per il solo fatto di essere scoperto, anzi ottiene il vantaggio di poter vedere regolarizzata la sua posizione lavorativa pregressa.
A seguito della riforma dell’impianto sanzionatorio, introdotta dal d. lgs. n. 151/2015, il datore di lavoro, infatti, rischia una maxi sanzione pecuniara che può raggiungere anche i 36 mila euro per ogni lavoratore occupato, l’importo viene calcolato in base ai giorni effettivi di lavoro per ciascun lavoratore irregolare e con un aumento del 20% in caso di impiego di lavoratori stranieri sprovvisti di regolare permesso di soggiorno o minori in età non lavorativa.
Per il dipendente impiegato in nero, però, tutto cambia nel momento in cui questi abbia dichiarato alle autorità competenti il proprio stato di disoccupazione o, addirittura, percepisca una apposita indennità.
Nel primo caso, il lavoratore occupato in nero che abbia reso all’Inps o al centro per l’Impiego la dichiarazione circa il proprio status di disoccupato, rischia una condanna per il reato di “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, ex art. 483 c.p.
La norma punisce con la reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
Se, oltre, ad aver dichiarato il proprio stato di disoccupazione, il lavoratore in nero abbia percepito l’indennità di disoccupazione o abbia approfittato di determinati ammortizzatori sociali erogati dallo Stato o da altri Eni pubblici, questi rischia di vedersi contestata l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato prevista dall’art. 316 ter c.p.
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore ad €. 3.999, 96 si applica solo la sanzione amministrativa o il pagamento di una somma di denaro da €. 5.164 a €. 22.822, tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.
In aggiunta, il lavoratore a nero vedrà decaduti i propri benefici e resta salvo il diritto per l’Inps o per l’Ente erogatore di richiedere la restituzione degli indebiti e il risarcimento del danno.
Avv. Adriana Scamarcio
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