Parigi, 15.04.2019, ore 18:20: mentre un gruppo di fedeli assiste alla Santa Messa un odore acre, di bruciato, inizia a pervadere l’interno della Cattedrale di Notre-Dame de Paris. Ai primi controlli pare non ci sia nulla di cui preoccuparsi.
Ore 18:43: il fuoco appare nel sottotetto in legno.
Alle ore 19:05, dopo l’evacuazione della chiesa, la guglia in piombo e legno costruita nel 1860 dal famoso architetto Viollet-le-Duc viene inglobata dalle fiamme e alle 19:20 collassa.
Alcuni pompieri erano entrati nella cattedrale per portare in salvo le opere d’arte più preziose, ma ai primi segni di cedimento della guglia sono stati costretti ad uscire di corsa.
In sostituzione dei vigili del fuoco all’interno della cattedrale arriva Colossus, un robot a quattro ruote in grado di emettere quattro getti di acqua gelata utili a raffreddare la temperatura interna della chiesa.
Non c’era altra scelta. Abbiamo agito in corso d’opera. Dal momento del crollo della guglia abbiamo concentrato ancora di più i nostri sforzi sullo spegnimento del fuoco dall’esterno. La caduta ci ha permesso di intensificare i lavori sulle due torri, perché non avevamo più il timore del fuoco che avrebbe potuto colpire i nostri uomini dall’alto.
Il vento giocava contro i vigili del fuoco, i quattro comandanti che capeggiavano 400 uomini hanno dovuto stabilire delle priorità: prima fra tutte salvare i due campanili.
La procura di Parigi apre un’inchiesta per “disastro involontario” e dichiara non ci sia alcun indizio che porti a pensare ad un atto terroristico o criminale.
Nel mirino degli inquirenti c’è il cantiere, la gigantesca impalcatura di 500 tonnellate, edificata tra luglio e novembre 2018, utile a restaurare la guglia prima di tutto il resto. Invece, proprio l’impalcatura l’avrebbe fatta crollare, la guglia.
Un incidente che ha bruciato il cuore di Parigi, della Francia, dell’Europa e di tutto il mondo. Un simbolo della cristianità, della storia dell’occidente.
Il giorno dopo l’incendio nelle strade di Parigi chiunque incroci un pompiere lo inonda di “merci” e scrosci di applausi.
C’è chi ritiene che le preghiere dei fedeli raccolti lungo la senna ed intorno all’Île de la Cité mentre Notre-Dame bruciava siano servite a far spegnere l’incendio senza causare danni irreparabili all’interno della cattedrale.
C’è ancora chi, scettico, afferma:
“È ufficiale: Macron è uno sprovveduto. O un menagramo. Si è fatto violare l’Arco di Trionfo, devastare gli Champs-Elysées, ora bruciare Notre-Dame. Fossi in lui terrei d’occhio la Tour Eiffel.”
Atmosfera da tregenda nella notte tra lunedì 15 e martedì 16.04, che ha poi lasciato il posto ad un’aura di speranza, di fratellanza ritrovata e di identità nazionale, europea, mondiale.
Lo confermano i 700 milioni di euro raccolti per i lavori di ricostruzione della cattedrale. Grandi imprenditori francesi come Pinault e Bettencourt-Meyers, seguiti dalle grandi multinazionali come Apple e Total, sino ad Amon N’Douffou V, re della capitale del Sawi.
Anche da Iraq, Sudan ed altri paesi extraeuropei giungono fondi.
Ma il rogo poteva essere evitato?
Secondo Paolo Vannucci, professore di meccanica delle strutture presso l’Università di Versailles, sì.
L’ingegnere italiano, da fine 2015 sino alla prima metà del 2016, è stato il coordinatore di una équipe di ricercatori che analizzano la sicurezza delle cattedrali francesi, con il patrocinio del Centro nazionale di ricerca scientifica di Parigi.
Ad aprile 2016, dopo il primo sopralluogo, la prima grande verità:
“Ci fanno entrare nelle combles, la carpenteria di legno sotto il tetto, e lì ci rendiamo subito conto di una cosa: c’è un pericolo enorme, palese: le capriate in legno del tredicesimo secolo sono difficili da raggiungere da eventuali soccorsi. Inoltre, tutto quel legno è sormontato da un tetto di piombo di 210 tonnellate che in caso d’incendio si sarebbe fuso rapidamente impedendo lo spegnimento sia dall’interno che dall’esterno. Una volta partito, sarebbe stato impossibile fermarlo.“
Tre anni dopo le peggiori previsioni della squadra dell’ingegner Vannucci si sono verificate, ma fortunatamente i pompieri hanno compiuto un vero e proprio miracolo, senza far riportare danni irreparabili (almeno alle prime analisi) alle vetrate colorate, ai rosoni, alla Pietà di Nicolas Coustou, alle dieci campane ed al gigantesco organo, che risulta però intriso d’acqua e ricoperto da polvere e cenere.
Renzo Piano afferma:
“Bisogna smetterla di parlare di fatalità. Gli incidenti sui cantieri possono essere evitati.”
I rischi previsti dal Vannucci sono stati comunicati in un rapporto spedito alle autorità, che è stato però insabbiato ed a cui Vannucci non ha mai ricevuto un responso.
Risale al 12 ottobre 1160 la promozione per la costruzione di Notre-Dame da parte del vescovo di Parigi Maurice de Sully.
Dopo la demolizione delle chiese di Santo Stefano e di Nostra Signora, vengono posate le prime pietre nel 1163, alla presenza di papa Alessandro III e di Luigi VII.
La costruzione è stata poi eseguita in due fasi: entro il 1250 viene completato l’edificio, e fino alla metà del XIV secolo proseguono gli interventi alla struttura interna ed esterna.
Durante la Rivoluzione francese Notre-Dame viene devastata, saccheggiata, profanata: soltanto a partire dal 1855 il restauro “in stile” operato da Eugene Viollet-le-Duc riporta Notre-Dame al suo antico splendore.
Una storia antica, che affonda le radici in quel cruciale e misterioso Medioevo che ha donato alle società odierne storia, arte, simboli.
Emmanuel Macron promette ai francesi, in visone a reti unificate dal suo ufficio all’Eliseo, di ricostruire la cattedrale entro le Olimpiadi di Parigi, ovvero entro cinque anni.
Scettici gli esperti, che parlano di “almeno una quindicina d’anni”, speranzosi i francesi anche grazie ai numerosi aiuti provenienti dalla comunità internazionale tutta. Hanno infatti fatto il giro del mondo le parole di Donald Trump, Giuseppe Conte ed Angela Merkel, seguiti dai colleghi di tutte le nazioni.
L’odore di legno stagionato e bruciato che si mischia alle nubi del nord della Francia sta forse dando spazio ad un fascio di luce proveniente dalla ritrovata forza umana che stringe tutti i popoli del mondo in un unico abbraccio, spinti dalla consapevolezza della comune storia, una storia che si è inevitabilmente intrecciata nel passato per poi separarsi, ma senza mai spezzare il filo rosso.
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