Il 4 aprile le truppe del Generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar hanno iniziato a muoversi verso Tripoli, la sede del fragile governo di Fayez al Serraj, governo riconosciuto da ONU e Italia.
La precaria situazione libica è il risultato della deposizione di Gheddafi nel 2011, il cui risultato è stata la formazione di un doppio governo, uno ufficialmente riconosciuto a livello internazionale e l’altro di natura antitetica, che ha inasprito le già esistenti conflittualità.
Nella giornata del 6 aprile l’ONU aveva proposto una tregua degli scontri armati della durata di due ore a scopi umanitari, ma le truppe del generale Haftar non hanno rispettato questa richiesta.
Abbiamo allungato le nostre mani verso la pace ma – ha dichiarato Serraj – dopo l’aggressione compiuta da parte delle forze appartenenti ad Haftar e la sua dichiarazione di guerra contro le nostre città e la nostra capitale, non troverà nient’altro che forza e fermezza.
Intanto, in queste ore l’Organizzazione Mondiale della Sanità della Libia sta monitorando l’ammontare di morti e feriti: nella giornata di ieri è salito a 130 il bilancio provvisorio dei morti negli scontri di cui 35 bambini, i feriti sarebbero circa 570.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) ha aggiornato nella giornata del 14.04 a 16.000 il numero totale degli sfollati nella capitale libica, precisando che il numero di persone in fuga dalle proprie abitazioni è di circa 2.000 nel giro di 24 ore.
Razzi, colpi di mortaio, attacchi e controffensive, raid aerei, missili Grad, avanzate e ritirate tra morti, feriti e civili letteralmente intrappolati: la battaglia alle porte di Tripoli si fa sempre più cruenta con il passare delle ore, è soprattutto la zona sudovest ad essere subissata da violenza. Lo scorso 8.04 si sono verificati anche raid aerei sugli aeroporti di Tripoli, un attacco che ha impedito a migliaia di cittadini di fuggire dal pericolo della guerra tanto da far insorgere alcune ONG che hanno mosso una proposta di apertura di corridoi umanitari, gettando luce sulla trappola entro cui i migranti sono costretti a vivere.
Dopo una intera nottata di scontri tra sabato 13.04 e domenica 14.04 le forze del generale Haftar, di cui il governo egiziano si fa sponsor, hanno sfondato gli sbarramenti armati delle forze del governo tripolitano, arrivando a conquistare varie zone: Suani ben Adem, 25 km a sudovest di Tripoli, e Aziziya, circa 30 km più a sud, lungo la direttrice che conduce a Zintan e Gharyan.
La Libia è sull’orlo della guerra civile, è ormai impossibile negare una svolta in tal senso degli scontri.
L’Italia si trova tra due fuochi: sostenitrice del governo di al Serraj, promotrice della politica dei “porti chiusi” e stretta nella morsa di un accordo tra le due fazioni libiche che non sembra abbiano intenzione di scendere a compromessi.
Il premier Conte incontrerà nella giornata di oggi, 15.04, il vicepresidente del governo al Serraj Ahmed Maitig, che avrà un colloquio con il Ministro degli Esteri Moavero e con il Ministro dell’Interno Salvini al fine di trovare un accordo che porti l’Italia a prendere una posizione decisiva nei confronti della situazione libica. Si tratta di una scelta di cruciale importanza.
L’Italia per noi è un partner strategico, sta seguendo da vicino la situazione e in questi anni ha fatto molto per evitare che accadesse tutto questo. Per evitare che ci fosse una guerra che provocasse tutti questi morti. L’Italia ha lavorato da sempre per la pace e la riconciliazione della Libia.
Questa la posizione del vicepresidente Maitig nei confronti dell’Italia, cui uno degli obiettivi principali dovrebbe essere quello di cercare un compromesso tra Haftar e al Serraj al fine di evitare ripercussioni in materia di immigrazione di massa ed eventuali attacchi armati.
Le truppe del generale Haftar, classe 1943 nel cui curriculum si annovera un posto di prim’ordine nella conduzione delle due guerre civili libiche (e della probabile terza), sembrano più crudelmente decise che mai a prendere in mano le redini della Libia.
La mobilitazione del popolo libico è quanto mai vera ed impellente, e se il Governo Giallo-Verde dovesse continuare sulla scorta della “politica avant toute chose” rendendo ogni evento una buona occasione per portare avanti la campagna elettorale permanente la situazione potrebbe diventare ingestibile e degenerare ad una velocità spropositata.
Ad esprimere preoccupazioni in tal senso è il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta che in un’intervista rilasciata a Radio Capital afferma che
Gli sbarchi in Italia potrebbero aumentare a causa della situazione in Libia. Non è utile usare certe occasioni per fare politica, in questi casi bisogna lavorare tutti nella stessa direzione per arrivare alla soluzione migliore, la diplomazia è l’unica soluzione utile per l’Italia. Se si dovesse arrivare alla guerra, non avremmo migranti ma rifugiati. E i rifugiati devono essere accolti. Bisogna che qualcuno si concentri molto di più sulla sicurezza del Paese.
Tale prospettiva implica una pruriginosa verità: tra le fila di migranti/rifugiati vi sarebbero miliziani dell’Isis e terroristi che avrebbero pieno diritto allo sbarco ed all’accoglienza in quanto provenienti da un paese in guerra e che non può più essere considerato un porto sicuro.
Stiamo monitorando la situazione e dialoghiamo con tutti i protagonisti sul campo, così come con i partner internazionali – Prosegue il Ministro Trenta- per questo ripeto che non servono prove di forza, non serve fare i duri come vedo fare a qualcuno per avere qualche titolo sui giornali. Serve intelligenza, compostezza, dialogo. E serve avere testa, non la testa dura.
Questo lo scenario che si presta dinanzi agli occhi del Ministro dell’Interno Matteo Salvini il quale soltanto pochi giorni fa ha tentato, in modo banalmente impacciato, di far passare i porti libici come “porto sicuro” tentando di portare avanti quella politica dei “porti chiusi” che ad altro non sembra servire se non a sguinzagliare gommoni clandestini diretti verso le coste del Sud Italia.
Da scongiurare è dunque l’ipotesi di attacchi militari da parte delle forze armate italiane contro le truppe di Haftar, che avrebbero ripercussioni nette in materia di immigrazione e di vere e proprie ritorsioni armate sul suolo italiano. Non è infatti da sottovalutare la natura guerrigliera che sta spingendo da ormai più di dieci giorni questo fronte sovversivo che non eccede in lungimiranza e strategia bellica, ma di sicuro non manca di veemenza e reattività.
Auspichiamo un cessate il fuoco in Libia e un ritiro delle forze del Libyan national army di Haftar
Questa la dichiarazione del premier Conte alla conferenza stampa tenutasi al termine dell’incontro con Maitig.
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