La profonda trasformazione che sta interessando il tessuto socio-economico ha recato con sé la conseguenza della creazione di nuovi e ulteriori beni, diversi da quelli tradizionalmente noti alla scienza giuridica e dalla stessa studiati.
Tra i principali fattori di questo inarrestabile processo di trasformazione ancora in atto è da annoverare l’uso delle tecnologie informatiche, che hanno consentito la straordinaria diffusione dei social network.
Il processo informatico, infatti, tende verso il progresso che porta aspetto innovativi nei confronti dell’intera società.
Accade molto spesso che gli individui esprimano le proprie emozioni attraverso i social network, creando negli stessi, un vero e proprio specchio della propria anima emotiva.
Ne consegue, pertanto, che questa novità comporti una fitta rete di relazioni interpersonali, sempre più cospicua, che si sviluppa attraverso canali caratterizzati dall’immaterialità.
Attraverso, infatti, i social network, le emozioni corrono verso spazi sconfinati e riescono a raggiungere un indefinito numero di destinatari.
In relazione a questo fenomeno, quindi, viene in rilievo la problematica relativa alla tutela dei soggetti che usufruiscono di queste nuove forme di comunicazione a distanza.
Ci si chiede se, in ordine a queste relazioni virtuali, si possa riconoscere l’esistenza di un ambito negoziale.
Un esempio è proprio quello legato ai profili sui social network per il tempo successivo alla morte dell’essere umano cui i dati medesimi ineriscono.
Ci si chiede, infatti, se sia concepibile un atto di ultima volontà, con cui il de cuius disponga dei dati in oggetto, alla stregua di una posta attiva del suo patrimonio, in questo caso di natura immateriale.
Ugualmente, ci si chiede quali siano i diritti ipotizzabili in capo ai congiunti della persona deceduta e quindi, se gli stessi possano accedere alla pagina personale del de cuius, onde raccogliere un suo ricordo o un suo ultimo pensiero.
Il problema sussiste nel momento in cui vi è la presenza di una password che impedisce l’accesso al profilo personale della persona deceduta, questo perché il titolare ha inteso escludere i terzi dalla possibilità di una concreta conoscenza e fruizione dei propri ricordi, affetti, pensieri ed emozioni.
Alla morte di una persona si apre la sua successione ereditaria, secondo alcune regole ben precise (art. 456 e ss. c.c.), dettate ben prima dell’avvento di internet.
E’ principio consolidato quello secondo cui non tutti i diritti ed i rapporti facenti capo al de cuius possono trasmettersi agli eredi. Non si trasferiscono, in particolare, i cosiddetti “diritti della personalità“, che appunto “muoiono” con la persona.
E, tra questi, vi è il diritto al nome ed allo pseudonimo, o – come si dice sul web – nickname.
Più in generale, inoltre, tra i diritti della personalità si comprende anche il diritto alla identità personale, cioè il “diritto ad essere se stessi“.
Alla luce di quanto sopra, ed in mancanza di una diversa esplicita manifestazione di volontà dell’individuo, mi pare assai difficile sostenere che gli eredi possano legittimamente richiedere ai vari provider le password personali del congiunto scomparso e quindi subentrare in quegli account personali, anche al solo fine di “annotare” nei rispettivi profili la nuova mutata realtà, ossia il “decesso” dell’originario titolare.
Non solo: escludendo in radice la possibilità che qualcuno possa subentrare in quegli account, si tutela altresì l’affidamento dei terzi, che non correrebbero così il rischio di continuare (inconsapevolmente) a comunicare con un avatar che medio tempore faccia capo, per acquisto mortis causa, ad un soggetto diverso da quello che si crede e/o spera.
Avv. Adriana Scamarcio
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