La surrogacy straniera rappresenta una delle più dibattute questioni sia in ambito giuridico che da parte dell’opinione pubblica.
La surrogazione di maternità o surrogazione gestazionale consiste nell’impiantare il gamete maschile nell’utero di una terza donna la quale si impegna a portare a termine la gravidanza per conto dei coniugi che ne diverranno i genitori.
Tale tipo di procreazione è ammessa in alcuni Paesi esteri ma non è considerata legale in Italia in quanto contraria ai principi costituzionali e morali del nascituro.
Si tratta, in pratica, di “affittare” l’utero di una donna per impiantarvi lo spermatozoo o della coppia sterile oppure di un donatore attraverso il concepimento in vitro, la gestante, quindi, si impegna a portare a termine la gravidanza per poi donare il nascituro alla coppia richiedente che ne acquista la genitorialità.
Ci si domanda, alla luce del diritto, se si può legittimamente chiedere ad un altro essere umano di contribuire con la propria fisicità alla messa al mondo di un figlio, del quale si assuma la responsabilità non chi l’ha procreato o partorito ma chi intende crescerlo ed accudirlo.
La risposta del diritto è varia, da un lato accetta moralmente la donazione dei gameti maschili e femminili, seppure in modo diverso, mentre è controversa la donazione del corpo femminile durante il tempo della gravidanza.
Secondo una linea di pensiero, infatti, viene considerato “dono” il bambino che si è formato nei nove mesi di gravidanza e, pertanto, non ammette la maternità surrogata.
Basti pensare alla Bibbia la quale evidenzia come la surrogazione di maternità risolva il problema della sterilità femminile, ma per alcuni tale riferimento è fuori contesto in quanto basato sulla poligamia e sulla schiavitù e, quindi, contrario ai principi morali attuali.
Alla luce di quanto espresso, pertanto, può il progetto di genitorialità essere così forte da smuovere e coinvolgere terze persone?
Questo è il cuore della vicenda affrontata dalla Corte Costituzionale nel risolvere una questione legata al riconoscimento dello status di figlio nato da surrogazione di maternità e, quindi, se possa considerarsi reato la trascrizione del certificato di nascita all’estero di un bambino riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani conviventi che, nell’ambito di un procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica, presso il Tribunale per i Minorenni, hanno ammesso il ricorso alla maternità per sostituzione realizzata attraverso l’ovodonazione.
Ed infatti, nei Pesi esteri in cui è ammessa tale forma di procreazione, il certificato di nascita del bambino riporta come genitori naturali la coppia che decide di accudirlo, in cui è accertato il legame biologico padre figlio ma non può dirsi altrettanto per la madre, considerata dallo Stato Italiano come adottante e non madre naturale.
Il Tribunale per i Minorenni infatti ha dichiarato che il minore non può considerarsi figlio della convivente del padre, in quanto concepito da una terza persona.
Secondo il giudice a quo, i dubbi di costituzionalità riguardano l’impossibilità per il minore di mantenere una identità relazionale e lo status di una riconosciuta filiazione materna, impedendo così allo stesso di conoscere la vera madre, ledendo i suoi interessi inviolabili.
Sul punto la giurisprudenza asserisce fermamente che la maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane.
A parere di chi scrive, tale argomentazione è così netta da non prevedere nessuna possibilità di appello. Con questa affermazione, infatti, non si discute la tutela dell’interesse del minore ma il fatto che la donna, seppur maggiorenne e consapevole delle sue scelte, indipendente e libera, debba vedersi per forza violata nella sua dignità nel caso in cui decida di partecipare al progetto genitoriale altrui.
Pertanto, deve costituire compito importante del Tribunale, l’analisi caso per caso limitato non alla dignità della donna ma alla violazione dell’interesse del minore nonché la verifica della veridicità del preteso rapporto di filiazione.
La Suprema Corte, sulla scorta della giurisprudenza comunitaria, ha concluso che è trascrivibile l’atto di nascita validamente formatosi all’estero in quanto non può considerarsi contrario all’ordine pubblico per il solo fatto che la tecnica procreativa utilizzata non è riconosciuta dall’ordinamento italiano.
L’unico parametro in contrasto con l’ordine italiano sono i principi costituzionali e solo in caso di violazione degli stessi si potrebbe negare la trascrizione dell’atto straniero e gli effetti che discendono da esso.
Concludendo, l’atto di nascita validamente emesso in uno Stato estero non può essere considerato in contrasto con l’ordine pubblico per il solo fatto che la surrogazione di maternità non è ammessa nell’ordinamento italiano dalla legge 40/2004, rappresentando quest’ultima “una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al giudice su una materia pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale”.
Pertanto, l’atto di nascita straniero sarà trascrivibile in Italia, sempre che il nato sia portatore del patrimonio genetico di almeno un componente della coppia, a prescindere dalla tecnica procreativa utilizzata e non sarà considerato reato.
Avv. Adriana Scamarcio
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