“Era il 29 dicembre 1980. Stranamente quel giorno mio padre tornò a casa dal lavoro non alle 16, come d’abitudine, ma alle 13.50. Aveva in mano un sacchetto con il pane. Prese in braccio me e mio fratello e ci disse: ‘E’ vero che siete gli ometti di casa?’ Avevamo più o meno 5 e 6 anni. Poi diede un bacio sulle labbra a mia madre e andò via. Non lo avevo mai fatto perché lui era pudico, non amava le smancerie. Qualche attimo dopo mamma sentì sirene continue di ambulanze, polizia ed elicotteri in volo”.
Inizia così il racconto di Christian Napolitano, figlio di Vincenzo Napolitano il brigadiere agente di custodia tranese insignito di medaglia al valore militare per il coraggio e l’abnegazione al dovere nell’essersi reso disponibile a partecipare col commando dei GIS all’incursione all’interno del supercarcere di Trani dove era in atto la rivolta delle Brigate Rosse. 18 gli agenti di custodia presi in ostaggio. I brigatisti detenuti a Trani rivendicavano il sequestro del magistrato D’Urso che era a capo della “Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena” presso il Ministero di Grazia e Giustizia, lo stesso per cui lavorava Enrico Galvaligi, il generale che da Roma guidava le operazioni a Trani. Era un chiaro attacco al sistema penitenziario.
“Ricordi indelebili nella mia mente che sono tornati prepotentemente a galla dopo aver letto l’articolo pubblicato sul vostro sito Batmagazine dal titolo ‘Il comandante Alfa ricorda il primo intervento del Gis: la rivolta nel supercarcere di Trani’.
A mio padre, che oggi non c’è più, e che allora aveva 38 anni, gli venne chiesto di partecipare al blitz in quanto profondo conoscitore della struttura carceraria e degli agenti. I terroristi avevano denudato gli agenti sequestrati e legati ai water nei bagni e indossato le divise per confondere i carabinieri. Fatta l’incursione, un terrorista in divisa di agente, confidando nel equivoco generato tra gli uomini del GIS, attentò con un grosso coltello da cucina sorprendendo un militare e mentre sferzava i fendenti potenzialmente mortali, mio padre, non facendosi sopraffare dal momento concitato, esplose diversi colpi con una pistola all’indirizzo del terrorista facendo ben attenzione a non mirare in punti vitali, ma ferendo e neutralizzando il nemico con una raffica di colpi bersagliando genitali e arti inferiori, preservandolo da morte certa.
Ci tengo a precisare che mio padre non era armato al momento del blitz. Fu un collega a passargli la pistola da sotto ad un cancello in quanto si accorse del pericolo in corso. Per quest’arma mio padre fu poi processato a Parma e poi prosciolto”.
Tira dritto Christian a raccontare, anche se la voce tradisce l’emozione.
“Erano brigatisti abili – continua – gente acculturata, universitari. Per far saltare i cancelli del carcere costruirono bombe con macchinette del caffè, shampoo, sale e aceto”.
Il blitz fu un successo: i GIS, senza provocare morti, liberano gli ostaggi e riportano l’ordine nel supercarcere. Due giorni dopo però, le Br reagirono uccidono il generale Enrico Galvaligi.
Il racconto di Christian Napolitano termina con una strana coincidenza, per lui un chiaro segnale.
“A 30 anni – dice – sono andato a lavorare in Alto Adige e casualmente ho scoperto che il comandante dei carabinieri del mio paese era uno degli uomini del Gis che partecipò al blitz nel carcere di Trani e che conosceva bene MIO PADRE”.
…una valigia di ricordi.
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