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Il saluto di Barletta a Mons. Leonardo D’Ascenzo, nuovo arcivescovo di Trani – Barletta – Bisceglie

29 Gennaio, 2018 | scritto da dora dibenedetto
Il saluto di Barletta a Mons. Leonardo D’Ascenzo, nuovo arcivescovo di Trani – Barletta – Bisceglie
Religione
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Sono molto onorato di essere accolto in questo Palazzo comunale dalla Città di Barletta, luogo di servizio al bene della comunità. Prego il Signore per intercessione della Madonna dello Sterpeto, che ciascuno di noi non dimentichi mai di frequentare la scuola del servizio”. Queste le parole che S.E. Mons. Leonardo D’Ascenzo, nuovo arcivescovo di Trani – Barletta – Bisceglie, ha voluto dedicare oggi pomeriggio alla città, mettendole nere su bianco sul registro comunale.

Insieme al sindaco Pasquale Cascella e alla presidente del Consiglio comunale Carmela Peschechera, Mons. Leonardo D’Ascenzo da Palazzo di Città ha quindi raggiunto la sala consiliare per l’incontro, alla presenza del cardinal Monterisi, con i rappresentanti del Consiglio comunale, dell’Amministrazione, degli enti pubblici, delle istituzioni civili e militari e delle realtà associative.

All’apertura di questa sessione consiliare straordinaria da parte della presidente Peschechera, ha fatto seguito il saluto del prefetto Maria Antonietta Cerniglia che ha tenuto a ribadire l’importanza della collaborazione tra le istituzioni civili e quelle ecclesiastiche, concetto ribadito dal sindaco Cascella che, nel corso del suo intervento ha richiamato i princìpi indicati dai padri costituenti che le istituzioni sono tenute a rispettare “compreso quel patto che regola il rapporto tra la sovranità statuale, per sua natura laica e pluralista, e l’indipendenza della Chiesa cattolica nell’assolvere alla vocazione religiosa dei propri fedeli”.

«Non potevamo che dare ascolto al suo bussare – ha detto il sindaco – quando Papa Francesco le ha affidato il mandato di guidare la Diocesi di Trani Barletta Bisceglie. Ma vorremmo anche dirle che le porte erano già aperte, nello spirito consegnato a questa città dal patrono San Ruggiero, che nel suo tempo aveva concepito l’episcopio di Canne come “puro ospizio sempre aperto, di notte e di giorno ad alloggiare i viandanti e i pellegrini perché trovassero conforto e consolazione”.

Benvenuto, allora, nella terra del magistero dell’accoglienza. Che ha voluto onorare, prima di raggiungere la casa della cittadinanza, incontrando i più deboli e bisognosi, là dove – il centro della Caritas – lo spirito di comunione può mettere a frutto i talenti del volontariato ecclesiale e del solidarismo civile. Non è stato sempre così. Dobbiamo pur ricordare, con lo spirito di verità che consente di misurare quanto duro e faticoso sia il percorso, che in via Manfredi, di fronte al luogo oggi dedicato all’accoglienza degli ultimi, qualche decennio addietro si era consumata una drammatica contrapposizione e una sanguinosa lacerazione sociale.

La ricomposizione è avvenuta grazie alla condivisione dello spirito di servizio – sì, servizio verso la collettività e giammai potere di parte – che si misura con i nuovi bisogni di questi tempi pur sempre difficili e incerti. Perché la nostra comunità è cresciuta e ha vissuto tumultuose trasformazioni tra rischi di decadenza e potenzialità di sviluppo. Su questo crinale, l’ispirazione della Misericordia del pontificato di Francesco deve poter incontrare la tutela dei diritti civili di ogni cittadino, dal primo all’ultimo.

Oggi è tanto più forte l’emozione nel sentire evocare una espressione come quella del “riscatto”, propria di una cultura sociale di emancipazione nella quale laicamente tanti di noi si riconoscono, da chi in questa terra arriva come pastore della fede religiosa .Pur da responsabilità diverse, possiamo riconoscerci insieme nei valori supremi e universali là dove la persona umana vive e opera. E mi permetta, monsignore, di esprimerle anche la personale gratitudine per il riconoscimento che ieri ha inteso offrire al valore della responsabilità politica, tanto da dirci – con coraggio rispetto a certe desolanti rincorse dell’antipolitica – che se non avesse intrapreso il percorso religioso avrebbe voluto misurarsi con quello della politica. Siamo allora tutti messi alla prova comune dall’aspirazione al progresso e allo sviluppo della nostra comunità. E dovremo ancor più cooperare, raccogliendo la migliore tradizione di questa città. La storia non è mai lineare.

Tra le sue pagine, qui a Barletta ritroviamo quelle dedicate alle crociate, espressione non a caso associata ed evocata anche per gli scontri che tormentano il vissuto della globalizzazione.

Allora, da qui partivano pellegrini e crociati verso la Terrasanta, tanto che “il mare di Barletta” è richiamato in uno dei poemi più antichi: la Canzone di Antiochia. E qui crociati e pellegrini ritornavano alle cure e agli affetti nei palazzi e nelle chiese degli ordini monastico-cavallereschi che andavano a formare il suggestivo nucleo urbano dell’odierno centro cittadino. Qui fu costruita la chiesa di Santa Maria di Nazareth, qui gli Arcivescovi di Nazareth e della Galilea istituirono la sede della propria diocesi dopo la caduta della Terrasanta, qui si fermò a lungo anche il patriarca di Gerusalemme. Lo stesso titolo arcivescovile di Nazareth è consegnato a lei, monsignor D’Ascenzo, a suggello del profondo legame di questa città con le sofferenze della vicenda incompiuta del Medio Oriente.

Dall’entroterra, dove già si era consumato l’epico scontro tra romani e cartaginesi, alla riva dell’Adriatico le cui acque si spingono nel Mediterraneo fino a lambire sponde di paesi ancora lacerati da guerre e conflitti, la “città dei due vescovi” – come Barletta è stata definita per quel legame tra Canne e Nazareth – racchiude il senso più profondo dell’accoglienza e dell’incontro tra fedi e popoli – ebrei e greci, cristiani e musulmani – proprio perché consapevole del costo imposto dalla storia. Come via Manfredi, anche via Nazareth è segnata delle ferite nel corpo della stessa convivenza cristiana, consumatesi persino nei tormenti del Novecento, che la forza del dialogo e il coraggio del perdono hanno da poco consentito di rimarginare.

È da queste lezioni di una storia che ha portato la città ad avere sul proprio gonfalone le medaglie d’oro al valore militare e al merito civile, dalla consapevolezza delle dure difficoltà del presente, dalla volontà di superare ogni pulsione conflittuale che si potrà costruire il futuro di una comunità libera, moderna, aperta, solidale, responsabile.

Tra i legami “invisibili ma reali di comunione”, che monsignor D’Ascenzo ha subito proposto di stringere, nella reciproca indipendenza e sovranità dell’ordine spirituale e di quello civile derivanti dal patto costituzionale tra Chiesa e Stato, dovremo pur ricomprendere il patto identitario di questa città che vorrei richiamare nel significato religioso e, al tempo stesso istituzionale, che un nostro cittadino onorario, il cardinale Monterisi, ha attribuito alla “consegna” dei nostri avi per il rito eucaristico penitenziale che aveva fermato la peste che aveva devastato la città.

La “consegna” deriva dalla deliberazione del 1656 del governo della città “liberata da simili mali di pestilenza dalla Santissima Eucarestia […] onde noi Sindaco, Eletti e Deputati in nome di tutto il Pubblico, ricorrendo ne’ presenti bisogni alla misericordia di Cristo Sacramento […] facciamo voto e giuriamo, intendendo d’obbligare a tal voto e giuramento le nostre vite e di tutti i nostri Cittadini presenti e futuri, di far fabbricare un trofeo delle Divine misericordie, acciò sia questa Città libera dal Contagio…”.

Quel “trofeo” è costituito dall’urna d’argento che vediamo innalzare da diaconi che indossano vesti sacre con lo stemma della nostra città, nel continuo intreccio tra la fede religiosa e lo spirito laico nell’impegno a liberare la comunità dai mali e a far fronte ai “presenti bisogni”. Ecco, con il vincolo morale all’impegno laico e all’azione ecclesiale si può condividere quel “pane del cammino” che lei, monsignor D’Ascenzo, ha portato nel tragitto verso questa terra. Non può che essere un “cammino di servizio” per il bene comune».

Il messaggio augurale di Mons. D’Ascenzo, incentrato anch’esso sui temi della collaborazione e della disponibilità affinché istituzioni e diocesi possano operare per la collettività, è stato suggellato dalla consegna di un’opera realizzata dal maestro Paolo Vitali che richiama elementi della tradizione artistica e della vocazione storica della comunità di Barletta per la Vergine Maria e il Bambino Gesù.

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