E’ un giorno come un altro, l’alba. Il sole si leva, illuminando il mare. Ci duole il cuore scorgere le onde che si infrangono sulle coste e scogli ma non si tingono di rosso. Quel rosso di tantissimo sangue che quotidianamente si disperde nel profondo mare, trascinando con sé tante anime nell’ombra sua oscura.
Gravissime sono le colpe di chi sfrutta coloro che, andando in cerca di nuove speranze, trovano la morte, non curandosi di perdere il proprio ego. Perché tanto silenzio nella nostra società?
Che società ingorda! Chi si nasconde dietro il sistema omertoso e tace, facendo finta di nulla come se nella nostra città il fenomeno emigranti della terra d’Africa non esistesse.
Sono molti i gruppi di giovani di colore che circolano vagando in cerca di qualcosa, ma di che cosa?
Ragazzi e ragazze li troviamo davanti, dentro ai supermercati e negozi con cappellino o un bicchierino di plastica chiedendo monete.
Per chi ha buona memoria riaffiorano i ricordi di quando nella nostra città girovagavano dei mendicanti. C’era uno in particolare che con un pastrano nero, rattoppato e sudicio, tutte le mattine, alla solita ora, chiedeva oboli per vie. Da piccolo, come tanti altri, stentavamo a racimolare qualche lira per tirare a campare. Si era al tempo del dopoguerra e all’inizio del progresso. Tutto stava cambiando. Anche chi chiedeva oboli erano svaniti. A distanza di oltre mezzo secolo tutto sembra che si riaffacci a tale vita quotidiana, in peggio.
Ci sembra di essere imprigionati con catene d’oro attendendo la morte sotto il loro peso, illudendo chi, arrivando nel nostro territorio credendo di scoprire nuovi filoni d’oro ma quella vene aurifere si sono già esaurite da tempo.
Non si vuole denigrare nessuno, non bisogna lasciarli soli ma non possiamo aprire tutte le porte dei nostri uffici. Dobbiamo tenere a bada gli spifferi di venti gelidi che attraverso i buchi di alcune porte ti raggelano il sangue.
Ai giorni d’oggi, destandoci dal nostro torpore, aprendo gli occhi vediamo passare una schiera eroica in un interminabile cammino, tortuoso, lungo e faticoso.
Non si possono allungare le braccia, accogliendo il continente africano nella nostra Italia, illudendoci di far passare il cammello nella cruna di un ago. Non falsiamoci, siamo un po’ più realisti. Un aiuto non si nega a nessuno e questa gente viene assistita con il sacrificio e l’abnegazione di tantissima forza e risorsa umana.
A questi viandanti assetati cerchiamo di calmare la loro sete. Le nostre bisacce si sono svuotate, non abbiamo più chicchi di grano da donare. Non dobbiamo piangere al desiderio di aver avuto il coraggio di aver offerto tutto quello che avevamo, nel mentre soffriamo per i nostri figli che non trovano lavoro oscurando il proprio futuro, non trovando luce che illumina il mondo; non trovando più gioia, non potendoci scuoterci e destarci alla ricerca di un nuovo futuro.
Tutto ciò è privo di speranze, lasciandoci statici e infreddoliti come se un vento freddo ti congelasse il sangue.
Non vorremmo dilungarci più di tanto per non essere tacciati di razzismo ma la situazione è tragica; è sotto gli occhi di tutti e nulla ci vieta di dire che tutto ciò sembra una vera invasione migratoria pilotata.
Vincenzo Santovito
Osservatore Civico
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