C’è un atteggiamento diverso delle donne, c’è più voglia di rivendicare che di festeggiare: ‘8 marzo 2017 è finalmente tornato “Giornata dei diritti delle donne” e non “Festa della donna”, perché c’è poco da celebrare, c’è ancora da lottare perché venga riconosciuta la piena parità dei sessi. Nonostante le battaglie di questi decenni per affermare i diritti delle donne, per riconoscere l’autodeterminazione, per vincere la loro subalternità nella famiglia, nel lavoro, nelle prospettive di vita, la situazione che ci viene consegnata giornalmente dalla cronaca non è solo poco rassicurante, ma davvero allarmante.
È inaccettabile quello che avviene contro le donne: la privazione di diritti nella vita quotidiana, sul piano delle retribuzioni, delle possibilità di carriera, delle pari opportunità. E in aggiunta ci sono la piaga inaccettabile della violenza e il fenomeno odioso dei femminicidi.
Pensavamo di avere fatto dei passi avanti dopo le grandi battaglie del femminismo negli anni Settanta-Ottanta e invece ci troviamo al punto di partenza: le donne sono ancora in condizione di minorità, sono ancora oggetto di prepotenze e aggressioni.
Condivido la scelta di una mobilitazione mondiale, che vedrà le donne del mondo unirsi idealmente in uno “sciopero”, in quaranta Paesi. È un modo per affermare i diritti e per fare tornare l’8 maggio una “Giornata” di lotta, cancellando l’ipocrita immagine di una festa che non avrebbe niente da festeggiare, ma tanto su cui riflettere.
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