Dispiace dover constatare la presenza di un principio capitalistico a fondamento e guida dell’Istituzione scolastica. Ogni proposta, progetto o attività sembra essere in nome di una nuove triade: produzione, quantificazione e dimostrazione. Il mondo scolastico è sempre più paragonabile a quello aziendale: il riferimento è alle numerose attività che vengono sempre di più proposte come occasioni di crescita, di confronto e di miglioramento e che sarebbero realmente tali se solo il vero fine fosse questo. In primis, la condanna è a progetti e approfondimenti definiti come “macro progetti”, circa argomenti che abbraccino quante più discipline è possibile, da presentare in “prodotti finali” multimediali, col fine dichiarato di valutare, e quindi quantificare, competenze linguistiche, tecniche e relazionali (peraltro da sempre valutabili da insegnanti capaci); immancabile la critica di progetti di alternanza scuola/lavoro, che altro non fanno che fornire le aziende di personale poco qualificato, semplicemente perché costituito da ragazzi ai quali continua a essere sottratto tempo utile per la loro formazione, soprattutto mentale. Queste, e molte altre ancora, nulla sono se non iniziative finalizzate a dimostrare quante opportunità, ma non quali, una scuola offra ai propri studenti; quanto, ma non in che modo, le materie di studio riescano ad essere collegate; quanto valgano le competenze, ma non le conoscenze di ogni alunno, e quindi quanto l’offerta formativa di una scuola meriti punteggi, per essere essa stessa, insieme al suo personale docenti, quantificata e finanziata.
Ma siamo proprio sicuri che di offerta “formativa” si tratti? Diamo tutti consenso alla sterzata utilitaristica che ormai guida le nostre scuole o tra noi c’è qualcuno che intende opporvi resistenza, che ritiene che la formazione nelle scuole non possa essere la stessa di un’azienda, dal momento che non si tratta di personale da qualificare, ma di persone, ancora immature, che hanno bisogno di strumenti per crescere, per acquisire coscienza di sé e per orientarsi in un mondo di cifre? Chi ancora ritiene, in vista di questo, che un adolescente abbia il diritto, prima di essere costretto alla pratica sterile di “competenze” , di conoscere sé stesso e ciò che ha scelto di studiare in maniera qualitativa e non quantitativa, senza affettazione, senza precettistica, senza fretta?
Se il tempo venisse dedicato prima a questo, che alla sommersione di nozioni pratiche (perché nozioni restano se non finalizzate a nulla di realmente produttivo), egli studierebbe con desiderio, amore e passione per il sapere, insiti nel concetto latino di “studium”, da cui il verbo “studiare” come “voler conoscere”. Con le ore necessarie messe a disposizione di questo e non di futili attività con ben altri fini, egli coglierebbe l’utilità e l’alto valore formativo dato dallo studio delle tragedie di Sofocle, dei componimenti di Orazio, delle canzoni di Leopardi, allo stesso modo dell’analisi matematica e fisica, strumenti fondamentali, se vividamente supportati da una solida capacità critica, per sciogliere e riorganizzare il mondo che ci circonda, comprendendone i limiti e cercando di superarli, immaginando soluzioni opportune.
Alla luce di questo, l’auspicio è che gli alunni e i professori possano instaurare un rapporto sinergico teso al superamento dei limiti del sistema capitalistico che domina sempre più le scuole, soffocando le capacità e le qualità di ogni singolo individuo, tutte da valorizzare, nella loro molteplicità.
Giulia De Troia
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