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La musica dei campi di concentramento: la storia di Arie

12 Novembre, 2016 | scritto da Redazione
La musica dei campi di concentramento: la storia di Arie
Attualità
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A Barletta, la Giunta comunale ha approvato il progetto della Cittadella della musica concentrazionaria presentato dalla Fondazione ILMC (Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria). E’ il compimento della ricerca condotta negli ultimi 30 anni dal pianista e ricercatore Francesco Lotoro nonché del suo lavoro documentaristico e filologico oggi tutelato dalla Fondazione ILMC; la Cittadella sarà completata e pienamente funzionale entro il 2020.
La musica concentrazionaria è stata creato nei Campi di prigionia, transito, lavori forzati, concentramento, sterminio, penitenziari, navi e logistics rimodulate in luoghi di prigionia da musicisti discriminati, perseguitati, imprigionati, deportati, uccisi o sopravvissuti di qualsiasi estrazione professionale, artistica sociale, religiosa, nazionale.
Il maestro Lotoro riporta una delle tante storie di cantori di musica concentrazionaria.

Il cantore e compositore ebreo Arie ben Erez Abrahamson nacque nell’Ungheria asburgica e crebbe a Pressburg (oggi Bratislava); ivi acquisì il titolo di Rav senza tuttavia mai praticare l’attività rabbinica. Trasferitosi ad Anversa per lavorare nell’industria dei diamanti, nel 1940 fu arrestato dalla Gestapo e trasferito presso il Campo di internamento di Saint Cyprien (ricadente sotto il regime di Vichy); ivi gli ebrei potevano fare la tefillà quotidiana e osservare lo Shabbath ma c’erano alcuni problemi.
Mancava vino kasher, non era possibile impastare la challà e tante altre cose che rendono perfetto il sabato ebraico: Blì yain, blì maim, blì challà, blì mispachàh (né vino né acqua né pane né famiglia) era appunto il titolo di un pezzo vocale scritto a Saint Cyprien da Arie per un Kiddush di un triste Shabbath in cattività nel quale mancava quasi tutto e, non ultimo, i propri familiari.
Accadde che, durante il pomeriggio di un Shabbath a Saint Cyprien, Arie sentì per la prima volta un canto proveniente da un Block dall’altra parte del Campo: era un Mizmor le–David che suoi correligionari stavano intonando per la seudà shelishit (il terzo pranzo dello Shabbath), una melodia nuova e allo stesso tempo familiare ad Arie. Era Shabbath, non era permesso scrivere ma i prigionieri la cantarono numerose volte per impararla; tanto bastò ad Arie per imprimerla nella memoria e a motzae Shabbath riportarla sul pentagramma.
Durante il trasferimento presso il Campo di Rivesaltes, Arie riuscì a fuggire con tutti i pezzi musicali scritti in prigionia tra i quali Yah ribbon alam, Yom zeh l’Israel (su testo di Isaac Luria) e il Mizmor le–David ascoltato quel pomeriggio a Saint Cyprien.
Riparò a Marsiglia dove giunse la sera della vigilia di Yom Kippur del 1941, in tempo per recarsi al tempio marsigliese per il Kol Nidrè; anch’egli rabbino, salì al Sefer e a fine Kippur raccontò al rabbino del tempio delle sue prigioni e peripezie e infine gli cantò il Mizmor ascoltato a Saint Cyprien. In quegli attimi il volto del rabbino divenne pensieroso, come se stesse frugando nella mente e al termine del canto chiese ad Arie di seguirlo negli archivi del tempio; cominciò a rovistare tra carte e libri musicali sino a quando sbuca da una cartellina, lo spartito del Mizmor le–David ascoltato quel famoso pomeriggio a Saint Cyprien!
Ma non fu questa la sorpresa: in calce allo spartito c’era la firma dell’autore e Arie non credette ai suoi occhi: il pezzo era stato scritto da suo padre Aharon Ze’ev (detto Erez, acronimo dei suoi due nomi) Abrahamson, anch’egli musicista e autore di numerosi pezzi lasciati a Marsiglia dove fu rabbino tanti anni prima.

Qualcuno a Saint Cyprien stava insegnando quel Mizmor di Erez ai prigionieri e, dall’altra parte del Campo, c’era Arie figlio di Erez ed ecco perché quel pezzo gli risultava familiare anche se non l’aveva mai ascoltato prima; era di suo padre, ne recava l’impronta, ne conservava il profumo. Fuggito dalla prigionia, toccava ad Arie tornare a Marsiglia e ricomporre un cerchio magico che collegava Saint Cyprien a Marsiglia; la musica scritta, creata e consumata nei Campi conosce percorsi di trasmissione impensabili, talora assurdi a una prima lettura. Ma alla fine arriva sempre a destinazione.
Francesco Lotoro

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