Il nostro grano di qualità non si vende, il prezzo proposto dalla domanda del mercato è inaccettabile. Questo anche perché siamo sommersi da grani esteri, tutt’altro che sicuri dal punto di vista salutistico, che falsano il mercato, non rispettando i veti previsti dall’Italia nella fase dei processi produttivi, come ad esempio l’uso del glifosate. Proporzioni e conti alla mano si traduce che circa il 15 per cento della pasta venduta come “Made in Italy”, ovvero, un pacco di pasta su tre, potrebbe contenere tracce di un diserbante.
Garanzie che questo non avvenga: nessuna fino alla prova contraria. Infatti su l’uso di alcune sostanze chimiche non c’è uniformità legislativa, al livello mondiale, ne certezze sui danni che queste possano recare alla salute dei consumatori. Solo dal Canada -evidenzia Scanavino- importiamo ben 1,2 milioni di tonnellate di grano duro. Allora -sottolinea il presidente della Cia- chiediamo che si faccia chiarezza sulla situazione, è assurdo, in questo caso, non venga applicato il principio di precauzione sugli alimenti che entrano nella filiera della trasformazione nel nostro Paese.
Il grano italiano sta morendo, per mano di chi mette i nostri produttori in una condizione di debolezza contrattuale. Da una parte si chiede ai nostri agricoltori di coltivare rispettando i massimi livelli qualitativi e sanitari per il prodotto, dall’altra si permette l’ingresso di enormi derrate di dubbio “pedigree” che mandano in tilt il mercato. Per questo non abbiamo altra strada da percorrere che la protesta ad oltranza, finché produttori e consumatori non vengano adeguatamente tutelati.
di Chiara Rutigliano
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